sabato 22 aprile 2023

Seconda stella a destra

 Non ho mai amato Peter Pan, però adoro la canzone di Bennato.
 
Mi ha sempre affascinato quel luogo descritto nella canzone, dove non ci son ladri e non c'è mai la guerra. Una canzone che da piccolo avrò sentito centinaia di volte, in cui si scontravano speranza e ragione, in una discussione riguardo un luogo che non può esistere, forse.
Certamente non può esistere un luogo popolato da sirene procaci, indiani stereotipati, pirati del XVIII secolo, fate e bambini volanti, però non è detto che non possa esistere una utopia, dove le persone vivano felici, in armonia, senza santi né eroi.
La ragione ci porta a valutare la natura umana, fatta di sopraffazione, individualismo, violenza, indicandoci l'impossibilità dell'esistenza di tale luogo e ci obbliga a quel senso di realtà che toglie luce al mondo, però a lato di cotanto orrore c'è della bellezza e la vera ragione la sa cogliere. L'umanità non è quella massa oscena che propongono i media, esistono persone meravigliose e altre che potrebbero esserlo, nel giusto contesto. La stessa ragione alimenta la speranza di un domani alternativo, in cui la cifra umana può essere diversa e non necessariamente la petalosa collettività Borg in cui stiamo cadendo (è terrificante constatare che chi si ispira alla rivolta culturale degli anni '60 e '70, somigli nei modi e nella forma mentis a chi aderiva ai regimi del XX secolo).
La canzone descrive il luogo di un sogno, dove si giunge attraverso un cammino che inizia di sera e finisce al mattino, per poi trovare la strada. Si attraversa quello spazio in cui cadono le gabbie mentali, dove l'io è libero e può trovare l'essenziale necessario e al risveglio si può decidere se cogliere quel frutto e seguire la strada o ripiombare nella gabbia quotidiana. Questo è uno dei motivi per chi ho scelto di non voler lavorare di notte. La notte è quando scrivo, disegno, modello, sogno: sprecarla lavorando, per poi gettare via la mattina, sprecando anche le ore di luce, è un crimine. Il soldo, per cui si fa la guerra, non vale le poche ore di piena libertà.
Io non so se esista qualcosa al di là del mondo sensibile, quindi mi chiedo perché debba sprecare il mio transito terreno dietro a questioni futili, che creano solo altra futilità, che ad ogni passaggio diviene sempre più distruttiva e oscena. L'esistenza stessa di una gerarchia mondiale è una follia, che tutti accettano come se fosse naturale, senza notare che sebbene piccole forme gerarchiche esistano in natura, queste servano essenzialmente per garantire la sopravvivenza del gruppo, non per cannibalizzarlo. L'idea stessa che tutto sia in mano a pochi, che per mantenere il proprio status hanno necessità che esistano moltitudini di diseredati che soffrono la fame, di disgraziati che svendono il proprio tempo in lavori usuranti, guerra, etc, dovrebbe farci sollevare, ma ciò non accade, perché alcuni la accettano come un dato di fatto, mentre altri sanno che al crollo di un sistema ne sorge subito un altro, che potrebbe essere peggiore, consci del fatto che la nostra sia una specie sociale e in quanto tale è fatta di gregari, conduttori e qualche disadattato che si barcamena, chiedendosi se la nevrosi, in questo mondo, non sia un segno di sanità mentale. Come insegna una vecchia battuta, ripresa anche nella Guida Galattica: la scritta manicomio è all'esterno...
Quando penso che avremmo le tecnologie per garantire a tutti il pane, un tetto e il tempo libero (e tanti contraccettivi, da dare in certe aree del Pianeta), mi rendo conto che siamo davvero in un manicomio, ma appurato che siamo pazzi: perché non possiamo credere che possa esistere un mondo migliore?
Non parlo di un altrove, dove giungere al trapasso. Non credo che esista un Dio, come quello descritto dalle religioni, che crea il mondo per salvarci o punirci, né un altrove meraviglioso. Sono fermamente convinto dell'unità del cosmo e del fatto che ancora abbiamo capito poco o nulla e che nel nostro essere una sola cosa, magari esiste una trascendenza, una fonte a cui tornare (adoro il mito di Er e le visioni orfiche ed ermetiche, tanto simili a quelle orientali), ma è solo una idea che non posso confermare o smentire, quindi l'altrove va a farsi benedire. Il mondo migliore deve essere qui, su questo sasso azzurro che ruota intorno al Sole e noi lo possiamo creare.
Questo ho sempre amato della canzone: un sognatore contro un concreto, che si parlano, ma il secondo è pregno di certezze, che ne chiudono la mente in una gabbia, impedendogli di vedere le infinite possibilità, i percorsi alternativi. Il sognatore, invece, cerca nuovi cammini, qualcosa di diverso, ma non è un cieco utopista, sa in che mondo vive, infatti riconosce che l'isola non c'è, concorda col suo interlocutore e lo ribadisce, però lui continua a cercarla, perché ha capito che se la può sognare, la può creare, cercando gente come lui.
In un mondo di tragedie, se ne sottovaluta sempre una: i sognatori tendono a stare da soli e non riescono a fare massa. Osservano le persone normali e non le capiscono, chiedendosi se dentro di sé ci sia qualcosa di rotto o malfunzionante, come unica soluzione possibile e provano ad adattarsi, recitando una parte fastidiosa. Dovremmo essere i primi a scegliere la nostra "seconda stella a destra [...] e poi dritto fino al mattino" per poi trovare la strada da sé, perché quella segnata dai vari gruppi dei normali (per la mia definizione di "normali" rimando allo scritto precedente e altri) è veramente una merda, di quella inadatta anche a concimare. Meglio smarrirsi nella selva oscura, consci che la diritta via non esista, che seguire ancora una strada che è sempre stata sbagliata e sempre stata la stessa, nonostante i pifferai fossero diversi e ognuno suonasse una musica diversa. Alzare gli occhi al cielo e scegliere la propria stella.

Marco Drvso

domenica 9 aprile 2023

Scheggia impazzita cercasi

"Scegliete la vita" così inizia il monologo che introduce le vicende di Trainspotting, sulle note di Lust for life di Iggy Pop (pezzo non scelto a caso).Un lungo snocciolare le priorità della gente per bene, in tono polemico, che culmina con due passaggi fondamentali, uno alto, seguito da una caduta. Mark sceglie di non scegliere, conscio della vacuità di quanto descritto, poi scade aggiungendo che lui ha l'eroina. Praticamente, combatte il superfluo, con il superfluo, cadendo in pieno nel gioco che critica. Il maxi televisore del cazzo è un procurarsi piacere vacuo, tanto quanto spararsi merda in vena.
Il mondo fa schifo e la gente scappa o crede di farlo, perché sono stati inculcati in loro idee distorte, tipo che questo è il solo mondo possibile (non mi riferisco al Pianeta, ma la sistema). C'è chi lo fa omologandosi, in modo da svanire nella massa (che sia il grigio burocrate, il rumoroso woke, il fervente credente, religioso o politico poco cambia o altro, sono tutti omologati), chi si omologa in modo meno visibile, autodistruggendosi, chi prova a cercare un altrove, fisico o onirico (dalla scrittura alla bulimia di serie tv), altra omologazione e chi impazzisce. Se penso alla generazione dei miei nonni che ha preferito il fuoco alla fuga, vien da dire che siamo un mondo di mezze seghe. Se all'epoca avessero avuto questa idea della fuga in cerca della felicità, il mondo parlerebbe tedesco.
Non contesto la ricerca del piacere, di cui anche il superfluo fa parte, è parte della nostra natura ed è una pulsione che va saputa accettare e soddisfare, entro certi limiti (il super ego non fa solo danni). Anche il desiderio di evasione è lecito e giusto. L'arte, l'amore, la scrittura, la ricerca, etc, sono figlie del desiderio di evadere e della ricerca del piacere.
Cercare la propria via fuori dalle gabbie dovrebbe essere l'istinto di ogni anima, ma spesso scade nell’omologazione. Viviamo nella società che ha totalmente sterilizzato l'evasione e il dissenso, sfruttando la leva del piacere immediato, elevato ad obiettivo primario, per creare gabbie invisibili, le cui sbarre sono più resistenti di quelle di un regime dichiarato. Ubriachi di superfluo, perdiamo di vista l'essenziale e svendiamo il nostro tempo, sprecando più di metà della giornata nel lavoro (calcolo anche i tempi di movimento) per procurarci il piacere di un bene o un servizio, che dopo pochi istanti svanisce e ripiomba l'individuo nella frustrazione, però si risparmia sulla salute, il cibo di qualità, etc. Si spende il proprio tempo libero dietro ai piaceri imposti dalla pubblicità, in modo da non smettere mai di essere l'ingranaggio produttivo che si era al lavoro. Persino il piacere poetico, che unisce estetica e filosofia, del perdersi nella caducità dei fiori sugli alberi in primavera è diventato commercio. Ho visto con questi occhi persone che si inebriavano delle immagini dei ciliegi di Osaka (obiettivamente stupendi), ignorando lo stesso spettacolo offerto dal pero nel giardino di casa. Lo hanami da uno schermo, con musica scelta da altri e intervalli pubblicitari, è l'antitesi del concetto stesso. Hanno lavorato, quindi venduto il proprio tempo, per comprarsi il telefono, pagare un abbonamento e spendere tempo per cercare il filmato e guardarlo, perdendo tutta la magia del momento, ignorando, più o meno scientemente, altre rosacee che fanno la stessa cosa. Il loro naso non ha assaporato i sentori della natura, la loro pelle non è stata né carezzata dal vento, né toccata dai petali, i loro occhi non hanno colto le sfumature di colore che il Sole e le nuvole donano a quei petali e non hanno colto il senso meravigliosamente struggente del momento. Praticamente, si sono fatti una sega frugale su un porno e non hanno neanche capito il concetto.
Per assurdo, queste sono le persone normali, nel senso della massa omologata che rappresenta la maggioranza della popolazione. Una maggioranza variegata in termini di fenotipo, ideologia, visione del mondo, etc, che potrebbe trarre in inganno, mostrandosi come un florilegio di individualità diverse, ma se osservate bene: tutti soggetti omologati nella casella sociale di appartenenza, dell'enorme catalogo dell'umano omologato.
Ingranaggi di un meccanismo che avanza per inerzia, sostenuto dalla convinzione che non vi sia altra possibilità, in cui le persone si annullano, donando il proprio tempo lavorativo e libero, convinte di farlo per scelta.
Ora sorge la domanda: se tutto risponde a degli schemi precisi, in parte dettati dalla biologia e in parte dettati dalla società che cerca di mantenere uno status quo, le cui forme erano già presenti nel mondo antico e sono state affinate nei secoli e negli ultimi decenni, grazie anche allo sviluppo tecnologico, portate alle estreme conseguenze, significa che anche le schegge impazzite hanno una parte nel sistema?
Cercando nella letteratura, nella mitologia e nel cinema, la risposta è sì. Winston, in 1984, scopre che il non allineato serve al sistema per ribadire la propria forza, portandolo all’annientamento. Neo, in Matrix, scopre che la funzione dell’eletto è di salvaguardare Matrix, perché senza quella piccola interferenza il programma si bloccherebbe. Satana e Giuda sono fondamentali per la realizzazione del disegno biblico. Lo stesso Loki, come ho scritto nel post precedente, è la scheggia impazzita che fa funzionare il mondo.
Così si giunge alla domanda successiva: non c’è speranza di liberarsi da questa costrizione? Abbiamo stretto un inutile patto col Daimon, prima di bere l’acqua del fiume Lete, che non possiamo portare a compimento, per ritrovarci nel mondo delle idee a chiederci cosa sia servito il transito terreno?

Forse!

Non amo le vane speranze, conosco la sensazione dello sbattere il muso contro la dura realtà, però tra le pochissime certezze che ho, c’è quella dell’impermanenza. Tutto è destinato a finire e mutare in altro. Siamo in quella fase dell’anno che rappresenta il passaggio, descritta da una immensità di miti (Persefone, Dioniso, Orfeo, Osiride, etc), lo stesso termine pesach, da cui deriva pasqua, indica il passaggio. È la primavera, stagione in cui la natura rinasce, dopo la rinascita del Sole. Un balletto di cicli di morte e rinascita che accompagna l’universo dalla sua formazione. La scheggia impazzita può essere il Neo che resetta Matrix, ma può essere il Loki che fa iniziare il mondo nuovo, non più quello guerriero nato dall’omicidio di Ymir da parte di Odino, ma qualcosa di nuovo, che parte dalla rinascita del magnifico Baldr.

Immagino che si possa uscire dalle dinamiche del superfluo che hanno generato il capitalismo che sta distruggendo noi e il Pianeta, attraverso la presa di coscienza della nostra mortalità e della necessità di non sprecare tutto, inseguendo il sogno dei folli che dominano la nostra stanca civiltà. Creare un mondo che abbia un senso, in cui le persone possano raggiungere quella piena felicità e realizzazione che gli elleni chiamavano eudaimonia.
Non ho idea di come farlo, sia chiaro, non sono io la scheggia impazzita, ma ho idea su quale debba essere il primo passo: fermarsi, capire la propria rabbia, superarla e capire la propria gioia. La gente rabbiosa non cambia il mondo, fa solo rivolte e rivoluzioni, che puntualmente finiscono nel sangue e nella restaurazione. Il cambiamento deve essere forte, saldo, un imperativo categorico, ma non deve essere guidato dalla rabbia e non deve essere violento.
Io sogno un risveglio delle coscienze. La nascita di un nuovo sistema (è inevitabile, i più anelano un sistema) che ponga al centro un individuo consapevole di essere parte di una comunità, che a sua volta è parte integrante di un tutto. Questa è la mia speranza, il forse che ho scritto prima.
Non sempre la luce in fondo al tunnel è il treno che sta per travolgerci.


Marco Drvso

sabato 1 aprile 2023

Manifesto luciferino della necessità

 In questi giorni ho riflettuto sulla mia condizione e su quella umana in generale ed ho iniziato a stendere queste righe, camminando nel buio.
Una oscurità nata dentro, alimentata dalle tenebre che mi circondano, in un mondo che non è mio, in cui la bellezza e la necessità hanno perso nei confronti dell'oscena bruttura del superfluo.
Non sapevo se avrei finito di scrivere questo pezzo, invece eccomi qui, giorni dopo, a finirlo, ascoltando i Carmina burana di Orff.

Se dovessi dare una colpa al cristianesimo, al di là delle tante cazzate che leggo e sento, è quella di aver confuso il Satana biblico con il Lucifero pagano, incasinando la storia occidentale.
Il primo è un pirletta che si atteggia a signore del male, ma è solo un bambino viziato che sclera col padre, facendo il suo gioco. Non è creatore: solo un mezzo demiurgo che funge da parafulmine per il fratellino e le mosse, discutibili del suo creatore (il solo nel racconto ad essere luce e tenebra). Di fatto, un coglioncello che si crede Re, ma è solo un vassallo da 2 soldi, con buona pace di Milton, che pur attingendo dalla mitologia biblica, usa la figura satanica per descrivere quella luciferina, almeno nella prima parte. Ho adorato quel suo ribelle sconfitto, che finalmente trova un posto tutto suo, peccato il seguito in cui distrugge un personaggio magnifico (nello sviluppo del poema è necessario e nulla toglie alla grandezza dell'opera, anzi).
Il pianeta Venere ha altri 2 nomi, in base alla posizione relativa nel cielo: Lucifero, la stella del mattino, quando compare al sorgere del Sole e Vespero, la stella della sera, al tramonto. Una volta porta luce, una volta porta tenebra, come ogni Dea dell'amore, dai tempi di Inanna.
Nelle mitologie troviamo varie figure luciferine e sataniche, ma al contrario del moderno occidente queste sono ben differenziate.
L'avestico Angria Mainyu o Arimane ben somiglia alla versione dualistica del cristianesimo moderno (dualismo che a chi ha letto e capito la bibbia fa orrore), decisamente uno stronzo, votato alla distruzione; si sta parlando di un rospo autogenerato che sodomizza se stesso per generare demoni e distruggere la creazione (se dovessi spiegare il narcisismo patologico, userei questa figura). Un patetico frustrato, al pari dell'arcangelo caduto.
Una via di mezzo sono il Susanoo shintoista e il Seth egiziano, entrambi frustrati, ma entrambi consci del proprio ruolo nel mondo e artefici del fato, agenti della necessità, oltre che figure realtivamente positive.
Le vere figure luciferine sono complesse. I miei preferiti sono Prometeo e Loki, probabilmente volti dello stesso personaggio.
Al contrario dei personaggi citati in precedenza, non ho inserito il link di wikipedia, perché sono figure di cui ho già scritto e sono così affascinanti che invito a fare ricerche in merito, affrontandoli da più punti di vista. Entrambi si muovono in modo ambiguo nel mito ed entrambi sono puniti dalla figura dominante, che li incatena ad una pietra, a subire il supplizio di una fiera. Entrambi nelle vicende umane e nella nostra creazione (su Loki gli esperti si dividono) e forieri di doni meravigliosi, ma sovente avvelenati, a causa dell'imbecillità umana e divina. Soprattutto:entrambi padroni della propria vita, che portano la propria autoderterminazione alle estreme conseguenze. Entrambi vedono lontano, conoscono le necessità del fato, sanno cosa vogliono, e sanno come ottenerlo, consci dei rischi e delle conseguenze. Loro accendono la miccia e vedono bruciare il mondo, perché così deve essere, senza trarne vantaggio personale.
Loki provoca la morte di Baldr e Hodr, pagandone duramente le conseguenze, al fine di salvarli dal Ragnarok, in cui lui stesso trova la fine, permettendo loro di tornare e dare inizio al nuovo mondo.
Prometeo sa che il fuoco libera le genti umane dalla condizione ferina, ma sa altrettanto bene che il fuoco è l'inizio della civiltà e della guerra, non a caso è lui che sfonda il cranio di Zeus, permettendo la nascita di Pallade in armatura. Insegna a noi mortali a truffare gli Dei, gettandoci nell'agone. Prometeo è quella tecnologia che cura le malattie, ci manda nello spazio e pone in mano a perfetti imbecilli un arsenale atomico.
Loro sono ladri, assassini, traditori, creatori, difensori, gentili, violenti, altruisti... La sola certezza è che hanno trasceso l'illusione del bene e del male e abbracciato l'ananke.
Entrambi sono portatori di luce e ombra, perché il mondo è la magnifica danza degli opposti che compongono il tutto, un enorme Polemòs in cui regnano il caso, Fato, la scelta, Ecate, la necessità, Ananke e le forze di attrazione, Eros, repulsione, Eris e lo scontro/incontro (ho dubbi su questa definizione, ma non trovo una parola migliore) Ares.
L'essere luciferino è questo: colui che punta alla luce, perché è quello il fine dell'esistenza, senza rinnegare la tenebra, il cui abbracciare la consapevolezza della condizione è figlio dell'aver colto il segnale del fato, scelto di volerlo compredere e abbracciato la necessità che governa il mondo, allontanandosi dal superfluo.
Vibriamo a frequenze ridicole, perché così ci hanno insegnato, ingozzandoci del superfluo, perdendo il necessario, senza il coraggio di rompere gli schemi. Abbiamo paura di incendiare il mondo, per salvare quel granello di sabbia che abbiamo comprato sacrificando la vita. Abbiamo paura della nostra volontà e di quel che ci grida il cuore, perché le catene potenziali ci fanno più paura di quelle reali cui siamo costretti. Soprattutto: ci hanno insegnato un falso dualismo, in cui gli opposti si combattono e la scelta di campo è obbligatoria: una follia. Cervelli di Boltzmann anestetizzati, che non creano la realtà, ma subiscono la narrazione altrui, alimentando un mondo folle.
In questo differiscono i luciferini dagli altri. Non vivono nella perenne speranza della salvezza, nel timore della dannazione o seguendo le vacue promesse di una o l'altra parte. Non riescono ad essere soldatini obbedienti di autorità che non riconoscono. Conoscono le regole universali, sanno come muoversi nel loro meandri e sebbene la gravità agisca secondo leggi inalterabili e inviolabili, sanno volare, perché conoscono anche altre leggi che dominano energia e materia. Fanno del problema la risposta.
Io amo i folli, gli zagrei che danzano sconvolgendo Tebe. La gente che una volta sentito fischiare il treno si rendono conto che il mondo è altro. Amo chi comprende che la stella più grande, calda e luminosa non può esistere, senza il freddo e buio, vuoto cosmico ed entrambi sono parte di un unico,
Io amo chi sa brillare dentro, conscio di proiettare anche ombra e come la sopracitata stella sa vestirsi di quella tenebra.
Oggi ananke è uscire dalle gabbie che il mondo occidentale ha creato. Ananke è riappropriarsi della qualità umana che ci rende creature stupende e terribili. Ananke è liberare quella stella ambivalente, portatrice di luce e tenebra che è dentro di noi e farla crescere.
Ogni giorno il fato ci pone davanti a delle biforcazioni del cammino, spesso multiple, in cui scegliere tra più strade. L'essere del superfluo segue il percorso indicato, quello apparenemente semplice che porta a sprecare il transito terreno. Pochi, i consci delle proprie luci e tenebre, che hanno aperto gli occhi (o sono totalmente pazzi, nessuno lo può escludere) decidono di scegliere la propria strada, consci dei rischi e per molti di questi scegliere è una necessità fisiologica. Rompere gli schemi, infrangere leggi fasulle, pagarne le conseguenze, ma farlo a testa alta, alla ricerca dell'essenziale.
Luciferini vi sto cercando, perché da solo non sono in grado di incendiare il mondo, ho bisogno della vostra luce e della vostra tenebra per volare, come voi ne avete bisogno di quelle dei vostri simili.

Marco Drvso

venerdì 21 ottobre 2022

I meravigliosi folli

Nel mare delle informazioni in cui siamo immersi traspare qualcosa di osceno: la più intima pazzia umana. Scimmie che si trascinano, riproponendo schemi e idee sempre uguali, da cui allontanarsi sembra impossibile. Io lo so bene, perché dal ritorno a Milano lo sto sperimentando, attraverso la mia palese regressione, con la sola differenza che per una volta me ne sto rendendo conto. Attraverso lo specchio ho visto me e il mondo che mi circonda e ciò mi ha spaventato.

Finché vivevo nell'illusione di essere l'unico messo malissimo, potevo quasi nutrire una speranza, poi ho scoperchiato il vaso ed ho scoperto che Elpìs è rimasta dentro per decenza. Il mondo non ha bisogno di speranza, ma della sana follia personificata da personaggi luciferini (non nel senso biblico) come Prometeo e Loki.
Prendiamo come esempio quel che sta accadendo sulle rive del Mar Nero. Sulla carta, è qualcosa di già visto, le cui dinamiche sono chiare e tremendamente scontate, con una piccola, ma sostanziale differenza: mai come oggi il mondo è pieno di persone rinchiuse dentro gabbie mentali. Orde di persone che vivono di certezze granitiche, alimentate dalla pazzia di chi ha in mano le chiavi delle stanze dei bottoni, che usa altri convinti come cassa di risonanza, che agiscono sulle masse, in un pericoloso circolo vizioso che si autoalimenta e rinforza. A confronto, il V e XVII secolo erano epoche illuminate di libero pensiero. L'occidente si sta suicidando, da tempo, seguendo teorie assurde, almeno nella loro formulazione, che si sono dimostrate errate, ma sembra che ammettere l'errore sia più terribile, che gettarsi nell'abisso e, come se non bastasse, la stessa pazzia ci sta conducendo verso la catastrofe nucleare.
Dove sono finiti i folli che hanno permesso l’evoluzione della civiltà umana?
Figure scomode e perseguitate, che hanno sfidato l’ira dei potenti, travalicando l’immobile speranza, giungendo all’azione ad ogni costo e ne hanno pagato lo scotto, con la dignità di chi ha vinto. Non porterò esempi umani, sarebbe inutile e controproducente: tale è la pazzia imperante, che al solo nominare certe persone si potrebbe levare uno sterile mare di biasimo o un altrettanto sterile coro di tifosi. Viviamo strani giorni, in cui si distrugge il passato e personaggi adorati diventano mostri, uno tra tutti, Socrate: un magnifico folle su cui ho letto cose aberranti, ultimamente.
Voglio scrivere di due personaggi molto simili, al punto che mi vien da sospettare che i due miti abbiano origini comuni. Prometeo è il creatore dell’umanità e, volendo accettare la teoria secondo cui Loki e Lóðurr siano lo stesso personaggio, anche Loki. Entrambi sono di grande aiuto al potere: Prometeo si schiera con Zeus nella titanomachia e porta alleati ed è lui a rompere il cranio di Zeus permettendo la nascita di Atena; Loki più e più volte trae d’impacci gli Asi e fornisce ad Odino e Thor le armi per il ragnarok. Ogni volta, secondo il loro ambiguo modo di agire. Difficile credere che uno che si chiama Prometeo, non sappia a cosa va incontro sfidando gli dei e anche Loki ha una certa preveggenza.
Prometeo voleva il bene dell’umanità e lo ha pagato finendo incatenato ad una montagna, dove un aquila gli strappa ogni giorno il fegato, perdendo poi l’immortalità (che recupera, vecchia volpe, per aiutare Chirone a morire). Si è immolato, per darci il fuoco, su cui si basa la nostra tecnologia, ma siamo così stronzi da averlo tramutato in un fungo atomico; mai accettare doni dagli dei. In questo, Prometeo è ambivalente: benevolo e terribile.
L’ambivalenza è ancor più forte nel benevolo Loki, che è anche il male necessario. Lui provoca la morte di Baldr e come pena finisce incatenato ad una roccia, con un serpente che gli cola veleno addosso (in questo mito, la figura di Sigyn è stupenda, invito a cercarla), fino al giorno in cui si libererà, scatenando il ragnarok. In questo modo ha salvato il buon Baldr, che scamperà alla guerra e tornerà sulla Terra per guidare la nuova era. Loki così permette il rinnovamento del mondo (per la cronaca, Prometeo è una delle figure chiave nel mito greco del diluvio), in uno slancio degno dell’oltreuomo di Nietzsche, a cui si contrappone la figura di Odino, che lotta contro un destino che conosce benissimo.
L’occidente moderno ha dimenticato queste figure, reali e mitiche, preferendo il devoto Abramo che arriva a sacrificare il figlio, per assecondare la sua divinità, senza porsi domande. Sebbene dio sia morto, la fedeltà agli idoli esiste ancora. Idoli che sono idee, denaro, appartenenza al gruppo, etc.
Socrate era un folle; chi abbatte le statue è un pazzo (oltre che stronzo).
Noi abbiamo un bisogno disperato di folli e di follia, per rompere gli schemi che ci imprigionano. Dobbiamo riscoprire l’eretico che è in noi e per prima cosa operare una rivoluzione interiore, poi riscrivere il mondo, per salvarci e salvarlo, liberandoci dai sacerdoti della verità assoluta che infestano i media e riscoprendo lo spirito critico e il dubbio. Mi impaurisce e disgusta questa società che ha codificato cosa siano il bene e il male assoluti, dimenticando che sono concetti assolutamente relativi e vuoti. Si torni a ridere della vita, se mai si è fatto. Si torni a scherzare di tutto, anche delle cose più tremende e assurde, solo così si potrà vedere la realtà per quel che è.
La libertà non è andare in giro conciati come si vuole o illudersi di potersi esprimere liberamente (cosa in realtà non vera, a giudicare dalla cronaca), ma essere ciò che si sente dentro, esprimendo il proprio sacro fuoco, al di fuori degli schemi di una società malata. Per questo ho esaltato le due schegge impazzite di cui ho raccontato. Personaggi che rompono gli schemi e rinnovano il mondo.
Abbiate la volontà di vedere la gabbia in cui siamo chiusi e cercate lo spiraglio d’uscita, a costo di farsi male. Fatelo per voi e per chi vi circonda.
Mandate al diavolo Zeus e Odino e liberate Prometeo e Loki.
Liberate il folle.
 
Marco Drvso
 

mercoledì 5 ottobre 2022

Danzando su pagine bianche

Scrivere è un viaggio nella propria interiorità, ma come ogni viaggio tra inferno e paradiso, scivolando tra fantasia e memoria, richiede forza e coraggio.
Per prima cosa, bisogna superare la paura del foglio bianco, una sorta di paura, che alcuni descrivono simile all'ansia da prestazione, ma così non è. Ogni foglio bianco è l'inizio di un viaggio e il problema non è sentirsi adeguati, ma pronti ad esplorare luoghi sconosciuti, dentro di noi, perché ogni scritto, dal blog al romanzo, passando per la saggistica, ha in sé un viaggio interiore. Anche nella trattazione più fredda e dettagliata, c'è qualcosa di chi scrive: il punto di vista, la scelta delle parole, la forma, persino scegliere un dato argomento dice molto di chi scrive. Nel caso delle opere di fantasia o delle riflessioni, si va a scavare nella propria intimità più profonda e talvolta si scoprono cose. Persino quando si sceglie di veicolare messaggi, pensando di tradire la propria onestà intellettuale, c'è della verità che giunge dai luoghi più nascosti del proprio essere, oltre ad essere veri i fatti che si riportano; magari mischiati e confusi con altri, in modo da affrontare l'argomento in modo ampio, ma assolutamente veri. C'è una sola regola nello scrivere: mai raccontare cazzate, a meno che si sia imbrattacarte prezzolati, ma non sono un sedicente giornalista, che uccide una professione nobile, per qualche soldo in più.
In questo periodo mi sto dilettando con un nuovo racconto (che molto probabilmente farà la fine degli altri, chiuso in un metaforico cassetto) e con la scrittura di aforismi.
L'aforisma è una forma di comunicazione che adoro e molto si avvicina alla mitologia, una delle mie passioni. Come nel racconto mitologico e religioso, si gioca abilmente con le parole, esprimendo un concetto, anche complesso, in poche battute, lasciandolo sospeso, in modo che chi possa intendere lo faccia e gli altri si fermino alla superficie di quel che sembra solo una frase da cioccolatino. Nietzsche e altri ci hanno costruito sopra una carriera.
Una volta superato lo scoglio di cosa si vuol comunicare e se si ha la volontà di farlo, le dita iniziano a battere sulla testiera, come se danzassero. Continuo a preferire la scrittura a penna, ma dattiloscrivere ha il vantaggio di non sprecare carta. La mano sembra prendere vita, guidata da personaggi che fanno ciò che vogliono, come se chi scrive passasse in secondo piano ed è come danzare in un mondo nuovo, che un istante prima era una superficie immacolata ed ora è una terra colma di vita e situazioni, che esistevano nella mente e dovevano solo uscire. Michelangelo sosteneva che la scultura fosse già presente nel blocco e il suo lavoro fosse tirarla fuori. In un certo senso, scrivere è qualcosa di simile, col vantaggio di non dover assecondare le irregolarità della roccia, ma solo accettare di mettere a nudo il proprio io.
Rischio grande di scrivere è restare intrappolati nel racconto. A me è successo, non riuscivo a pensare ad altro, come chiuso in una realtà virtuale. Mi hanno salvato il mio senso di realtà e la formazione scientifica, che mi obbliga da sempre a spaccare in 4 il capello, quindi mi sono domandato cosa stessi facendo, rendendomi conto che dallo scrivere ero passato al vivere la situazione. I personaggi sono qualcosa di noi che parla, ma bisogna stare attenti a non far prendere loro il controllo, perché potrebbero stravolgere la storia. 
Cosa divertente è constatare quanto molte persone abbiano tratti in comune con certi miei personaggi e ciò un po' mi diverte, un po' mi galvanizza perché so creare persone che potrebbero essere reali e il mondo me lo conferma, in minima parte mi spaventa, perché non vorrei trovarmi a confondere la realtà con il sogno.
Scrivere è scoprire se stessi e svelarsi al mondo. Per me che sono timidissimo, anche se lo so dissimulare bene, è un modo per lasciarmi andare, che ha anche il vantaggio di poter curare la forma, al contrario della parola orale che è più istintiva e ricca di strafalcioni grammaticali e sintattici, che per me, fanatico del bel parlare sono cose tremende, infatti mi piace correggere le persone cui tengo, come forma di gentilezza. Non correggo i congiuntivi alle persone che non mi interessano ed ho piacere quando le persone cui tengo correggono i miei orrori.
Piacere ancor più grande è rileggere e sistemare, rendendo scorrevoli le parole e sistemando giochi, che donino più chiavi di lettura (salvo in questo caso, perché l'argomento non ha bisogno. È solo un intermezzo, nel chiudere il capitolo del racconto e sistemare il curriculum, per spiegare a me stesso perché lo stia facendo). Ribadisco il mio amore per i testi sacri, mitologici e filosofici, in cui è necessario avere più livelli, per veicolare messaggi al pubblico più ampio possibile e permettere a chi non ha gli strumenti di approcciare quello più semplice e a chi ha orecchie per intendere di capire cosa ci sia sotto. Non scordiamo che "rivelare" può significare sia svelare, sia porre un secondo velo. Non a caso la locuzione "qui habet aures audiendi audiat" compare più volte nei vangeli ed espressioni simili sono disseminate in migliaia tra testi sacri e filosofici.
Scrivere ha due finalità: dare piacere, sollevare dubbi, cercare risposte in chi lo fa e donare il piacere di leggere, porre dubbi e suggerire risposte in chi legge.

Marco Drvso

venerdì 23 settembre 2022

I 6 grani del frutto di Ade

Il mito racconta che Rea e Crono ebbero 6 figli, nell'ordine: Estia, Demetra, Era, Ade, Poseidone e Zeus. Tra loro, le figure che trovo più interessanti sono Estia e Ade.
Estia, Vesta per i romani, pur essendo una dea potente e primogenita dei cronidi, compare in pochi miti. Ella è il fuoco e la civiltà, unica ad aver ceduto il proprio trono sull'Olimpo, per dedicarsi alle sue faccende. Una delle poche divinità ad avere potere su Zeus, che le ha concesso piena libertà, oltre ad una percentuale sulle offerte che i mortali tributano alle altre divinità (e tutti zitti!).
Il primo dei maschi è Ade, lo Zeus Katachthonios (Zeus oscuro o del sottosuolo), signore dell'oltretomba (regno scelto da lui) e possessore della kunée: l'elmo che rende invisibile e intangibile, con cui rubò le armi di Crono.
Ade, come Estia, non è uno dei 12 che siede sui troni alla corte di Zeus: ha il suo regno, non si interessa del mondo dei viventi e come Estia, non perde tempo con Afrodite ed Eros. Scordiamo la divinità gelosa e rabbiosa che descrive Hollywood: è un severo regnante, che svolge il suo compito con dedizione e imparzialità. Volendo tirare in ballo Aristofane, ha il regno in cui vivono i più grandi artisti, filosofi, eroi: che motivo ha di cercare in Terra qualcosa che inevitabilmente arriverà da lui? Al massimo si concede qualche gita, coperto dal suo elmo.
Secondo alcune versioni del mito, questo lo rende indigesto ad Afrodite. È l'unico immune al suo potere, oltre ad Estia e Atena, ma loro sono intoccabili (ci sarebbe la terza vergine, Artemide, come descritto da alcuni autori, ma basta leggere il mito per comprendere che sia chiaramente lesbica).
Altra divinità nel mirino di Afrodite è Kore, la dea della primavera, figlia di Zeus e Demetra (non entriamo nel merito dei rapporti di parentela tra le coppie divine). Demetra è follemente gelosa della figlia, al punto di imporle la castità. A pensarci, è curioso che la dea della natura, che di fatto ha preso il posto di Gea e Rea come grande madre, obblighi la figlia prediletta, la primavera, alla castità. Cosa c'è di più fecondo e promiscuo della primavera? Tutto ciò per la dea Cipride è un affronto.
Quale scherzo migliore può orchestrare, se non far colpire Ade da Eros, proprio mentre è sulla Terra, senza elmo, davanti a Kore?
Purtroppo, le frecce dello sgorbio alato sono potentissime.
Ade prova a resistere a quel desiderio inopportuno, ma presto cede e rapisce la giovane. 
Vorrei ribadire, ancora una volta, che sono miti risalenti alla prima età del bronzo, è da idioti usare la nostra morale.
Qui il mito non è concorde. C'è chi dice che anche Kore è innamorata e il rapimento sia una fuga d'amore, chi descrive una situazione da sindrome di Stoccolma e chi parla di un netto rifiuto.
Demetra non trovando la figlia va alla sua ricerca, finché Elios, noto chiacchierone, le racconta la verità. Subito corre da Zeus a pretendere il rilascio della figlia, ma lui sceglie di tenersi fuori dalla vicenda: il cielo non può scontrarsi contro il mondo sotterraneo (trascuriamo le ben note qualità genitoriali di Zeus). Demetra, allora, gioca la sua carta: fa cadere le foglie dagli alberi, poi arrivare il gelo e fugge via. Rimando all'inno omerico, per le vicende che accadono in questa fase. Quel che interessa è che Gea rischia di morire e con lei tutte le creature viventi. Zeus deve intervenire e pretendere il rilascio della figlia.
Qui viene la parte più interessante, perché somiglia a tanti altri miti, anche di popoli lontanissimi.
Ade accetta di liberare Kore, che fino a quel momento non si è ancora nutrita e le dona un melograno, di cui Kore mangia solo 6 grani (3 per altre versioni), durante il tragitto. Quando torna tra le braccia della madre, accompagnata da Ecate, si scopre il fatto: mangiare il cibo del mondo oscuro condanna a restarvici. 
In questo ricorda molto il mito di Izanage che va a salvare Izanami, a sua volta simile al mito di Orfeo, mentre la descrizione di Izanami nello Yomi è sovrapponibile a quella di Hella, etc.
Tocca a Zeus risolvere la situazione. Kore ha mangiato 6 grani, quindi resterà per 6 mesi nel regno di Ade e il resto dell'anno con sua madre. Nasce così l'alternarsi delle stagioni.
Per 6 mesi è Persefone, regina di Ade; per 6 mesi Kore, la primavera.
Per uno strano caso, il matrimonio è felice, nonostante l'alternanza tra marito e madre (in questo il simbolo della rinascita ciclica), la questione non troppo chiara di Menta e quella ancor più ambigua di Adone (altro mito di morte e rinascita ciclica), che mi piace immaginarla come una vendetta dei due coniugi su Afrodite.
Ancor più interessante è il mito orfico di Zagreo, figlio di Ade e Persefone, destinato a governare su tutto, che muore a causa di Era (convinta che sia l'ennesimo figlio di Zeus) e viene riportato in vita da Zeus col nome di Dioniso (la divinità cui Estia cede il proprio trono). Le assonanze con Osiride sono fortissime.
Ogni 6 mesi, Ecate si presenta a Kore/Persefone per condurla dal suo sposo o da sua madre. Oggi ha condotto Persefone da Ade, inizia la stagione del sonno della natura, la ripicca di Demetra. Il seme è sotto terra e risorgerà in primavera, quando Kore mostrerà il suo viso al Sole e Demetra, felice, riprende i suoi divini compiti.
Bentornato autunno.
Buon viaggio Persefone.

Marco Drvso

mercoledì 24 agosto 2022

Geworfenheit

Con questo neologismo, traducibile con gettatezza, Martin Heidegger descriveva la condizione umana: esseri gettati al mondo, senza uno scopo o una speranza.
Non riesco a comprendere chi immagini l'esistenza di un creatore o di un demiurgo, che pone regole, giudica e dovrebbe salvarci. Trascuriamo il fatto che questo motore immobile sia di fatto la salvezza e la dannazione e il tutto di cui siamo parte...
Io preferisco visioni orientali e presocratiche, di un mondo che semplicemente esiste ed è un unico in evoluzione. Non è un caso se quando osservo la Via Lattea (in greco Galassia), sempre dico: "casa!". Casa, in teoria, dovrebbe essere Gaia, ma essendo l'unione della Terra e della sua bioma, non è casa, è "noi" e il discorso potrebbe espandersi alla Galassia, l'ammasso di galassie, etc.
Come il concetto di essere può travalicare gli spazi cosmici, può anche valicare il tempo (qualcuno obietterà che essendo spazio e tempo dimensioni della stessa cosa, stia esprimendo una ovvietà). Prima di essere in questa forma, la materia e l'energia che ci compongono sono state altro e noi stessi siamo composti da materia ed energia differente da quelle che ci componevano un tempo: innumerevoli frammenti eterni di materia ed energia, coagulati in una forma, che a sua volta persiste al passaggio di quegli eterni, evolvendosi. 
Fin qui la semplice questione dal punto di vista materiale, con un verso temporale.
Oggi pomeriggioo, un amico mi chiama e domanda: "Drv, ma ancora ci pensi?". Si riferiva a fatti del mio passato remoto, che credeva di aver letto sul blog (così ho scoperto che mi leggi, balordo!).
Mi sono trovato a spiegare come nella scrittura io travalichi i limiti del mio tempo, come se le diverse versioni di me scrivessero all'unisono, nel tentativo di sfuggire da quel momento storico in cui sono ferme. Rileggendo con attenzione quanto ho scritto, ho ritrovato più e più situazioni diverse, chiuse in uno o più post, cosa che mi ha piacevolmente incuriosito e spinto alla riflessione. So bene che scrivo di più cose in simultanea, spesso in modo criptico e ambiguo (è il mio stile ed ha un senso: amo dare diversi livelli di lettura, che rispecchino la complessità di questo mondo, un po' per regalare spunti, un po' perché mi diverte, un po' perché serve alla mia riflessione), mischiando. situazioni diverse, nel flusso di coscienza attraverso cui metto a posto le idee, creando descrizioni delle mie passeggiate all'inferno, utili a chi si trova a vivere vicende simili alle mie; questo è lo scopo dei miei messaggi in bottiglia: arrivare un giorno ad almeno una persona e mostrare una possibile via alternativa. Ciò di cui non mi sono reso conto fino ad oggi, è di essere "fisicamente" ancora in quel luogo e in quel tempo e non ero conscio di aver parlato di alcune situazioni, che invece erano palesi. Saperlo a livello di studio è un conto, verificarlo è un altro. Senza entrare in merito a certe riflessioni sul pensiero, che potrebbe trascendere spazio e tempo, mi limito a descrivere il mio ritrovarmi spalmato su momenti diversi, limitandomi alla sola lettura psicanalitica.
La cosa ha aperto una riflessione enorme sui circoli viziosi della vita umana, attraverso le idee di grandi autori che si incastravano tra loro alla perfezione, fino a giungere alla illuminazione di Gautama applicata alla psicanalisi. Posso dire di aver sfiorato qualcosa che trascende persino le quattro nobili verità: l'inutilità del dolore. Gautama ha mostrato la sua indissolubilità dalla condizione umana ed ha mostrato come andare oltre, ma io ho un vantaggio di 2500 anni di filosofia e scienza (Epicuro, Lucrezio, Leopardi, Nietzsche, etc), che ha aggiunto molto e mi ha permesso di rielaborare. Mi domando da quanto mi ronzasse in testa...
Questa sera ho osservato le stelle, dopo aver chiacchierato con più clienti del bar, ascoltando le loro storie, condendo con le mie (il bello di questo mestiere) e ho realizzato come tutto sia solo un frammento infinitesimale di uno spazio tempo di cui ignoriamo se sia un flusso o un susseguirsi di attimi separati, come i fotogrammi di una pellicola. Un infinitesimo nel tutto, che è tutto a sua volta, le cui gioie e patimenti sono nulla, rispetto alla totalità.
Nulla ha così tanto valore da rubare una parte dell'esistenza, perché l'esistenza stessa è solo un essere gettati al mondo senza uno scopo e questo mi dona la quiete e un incredibile senso di libertà. Tolto lo scopo, crolla il castello delle illusioni umane e apre scenari fantastici, in particolare viene meno la singolarità dell'individuo, che diviene parte del tutto, anzi diviene il tutto (purtroppo siamo in un mondo di psicotici, in cui certi concetti elementari non passano e si vedono i risultati).
La prima grande illusione umana è l'unicità, che genera lo scopo e via fino al totale impazzimento. Nella comprensione dell'essere il tutto che si sperimenta in forme effimere c'è la sola salvezza e la fine del conflitto e, come sempre, si finisce ad Eraclito e Lao Tzi: il divenire e l'equilibrio degli opposti. Tutto il resto è un istante dell'eternità.
Solo la leggerezza di una foglia gettata al vento salverà il mondo.

Marco Drvso