giovedì 17 settembre 2020

Hei you!

Cosa spinge una persona a dedicare tempo ed energie nello scrivere un blog?
La stessa cosa che la spinge a rimettervi mano in una brutta notte di settembre: la difficoltà di trovare una spalla su cui piangere.
Lo si può poi farcire di racconti, impressioni e qualche discorso presunto serio, giocando a fare l'opinionista, ma in mezzo a tutto quello c'è solo il bisogno di sfogarsi a ruota libera.
Rieccomi qui, ancora una volta, a raccogliere i cocci della mia vita. In parte a causa di questioni ben al di là della mia portata, il covid e il suo contorno che hanno distrutto il mio settore lavorativo e ora mi tocca reinventarmi, in parte a causa di quel treno che già da tempo vedevo arrivarmi in faccia e non ho scansato.
Quando si vive un rapporto malato, le cui dinamiche sono fin troppo chiare, ma ci si ostina, masochisticamente, a mandarlo avanti, sperando in un risultato, ben consci del finale, quando arriva è dura. Ci si autoaccusa di imbecillità e fa male vedere lo specchio che dice -Lo sapevi!-.
Lo sapevo che rifuggeva il sentimento (secondo dotti amici psicanalisti è un caso di disturbo ossessivo da manuale, che si è scontrato col mio narcisistico). Sapevo che alla rottura dello status quo, sarebbe scappata, nel peggiore dei modi, ma allontanarmi mettendosi con un mio caro amico, uno in particolare, ha ferito il mio narcisismo. Ora mi domando se fosse amore o il desiderio di possesso di un bambino col suo giocattolo (in vero, è più di un anno che me lo domando). 
Sono furioso con me stesso, perché lo sapevo e ho perseverato nell'errore. Mi sono risvegliato dall'illusione che mi sono consciamente costruito, rendendomi conto di essere stato volontariamente uno zerbino, per la seconda volta.
Fa male, fa infuriare, ma si elabora il lutto e si va avanti, come sempre. Non il lutto di un amore perso, quello della propria autostima calpestata.
Il vero problema è trovare la spalla su cui piangere. Non è sbagliato lasciarsi andare, tutti noi abbiamo bisogno di poter fare un pianto liberatorio, con una persona in carne e ossa.
Purtroppo le spalle migliori su cui potevo appoggiarmi sono distanti e uno sfogo al telefono  o in chat non è la stessa cosa e chi avrebbe potuto porgermi la spalla dal vivo, si è dimostrata una volta di più la persona meno adatta (ci sarebbe stata una persona adatta, cui ho spesso prestato la spalla, ma è l'amico di cui sopra e mi sono conto di averlo torturato emotivamente in questi giorni e, non lo nego, mi è piaciuto, anche se non lo merita: è finito nel fuoco incrociato).
L'altro da sé, che ascolta e tace, lasciando che il flusso di coscienza e di lacrime fluiscano liberi, è difficilissimo da trovare. Sempre un parere di troppo, una digressione inutile, che distrugge lo stato emotivo e ci fa richiudere come un riccio.
Si finisce, così, a scrivere per estranei che forse finiranno qui per caso o semplicemente si butta una bottiglia in un mare vasto, che mai vedrà un approdo. Per quanto possa sembrare virtuale, freddo e inutile, scrivere e gettare nel mare i miei pensieri è terapeutico. 20 minuti fa ero con lacrime nervose agli occhi; ora sorrido.
Nonostante tutto, almeno questa volta ho, seppur per un breve istante, avuto la mia rosa blu.
A te, se esisti, che hai letto fino a questo punto, dico grazie. Non sai quanto mi sia stato utile e caro.

Marco Drvso


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