domenica 27 settembre 2020

Il valore di una caduta rovinosa

Un tempo ero convinto che non tutti nascessimo con le ali, perché così mi avevano insegnato a pensare e a fallire, però questa visione mi è sempre stata stretta.
Come Dedalo e altri dopo di lui, ho cercato di fabbricarmene, ma quel pensiero invadente ha sempre fatto in modo che permettessi ad altri di distruggerle, mentre spiccavo il volo. A volte cadute rovinose, altre volte cadute utili, che insieme ai segni di cui andare fiero (la cicatrice di chi osa è una medaglia), hanno lasciato la lezione di cui avevo bisogno e sono state di sprono a creare ali sempre migliori e qualche volta ho volato, alto nel cielo.
Una volta spiccato il volo, difficilmente si accetta di restare a terra e quando vi si è costretti non si sta bene, ma certe cadute mettono la paura di volare. Periodi in cui si è accettato di saltellare nel fango, abbracciando quelle ali distrutte, come un tesoro necessario, da proteggere con la vita. 
Non capivo che quel tesoro fosse solo un peso e il problema. Era restare attaccati al passato e ad una illusione, esistendo in modo sterile e inutile, segregato in una danza con un passato morto, col solo risultato che le nuove ali avrebbero dovuto portare un peso maggiore: la zavorra inutile che non sapevo abbandonare.
Sempre più pesanti e corazzate le ali nuove, sempre maggiore il peso della zavorra, ma così non si vola. Sono solo balzi, che spaccano le ginocchia in decollo e atterraggio.
Infine, un giorno cadi rovinosamente di faccia e tutto quel peso ti crolla addosso, schiacciandoti, proprio quando le ultime ali che hai creato ti hanno quasi portato in alto, dove sogni di tornare. Sei schiacciato a terra, con una persona che infierisce e succede qualcosa.
Vedi uno dei frammenti delle vecchie ali e in quelle riconosci le ali che ti hanno appena troncato e ti poni una domanda: Che stia rifacendo sempre gli stessi errori? 
In psicologia è definita coazione a ripetere, nei proverbi è: seguendo sempre la stessa strada non puoi sperare di risultati diversi.
Per fortuna, insieme a chi ti abbatte, ci sono gli amici che ti sollevano. Mostri loro le similitudini tra le ali e questi, con un sorriso d'oro, capiscono che le tante parole che ti hanno detto negli anni stanno ottenendo un risultato e ti spronano a guardare meglio. Riguardi la zavorra e ti rendi conto che comuni errori erano presenti in tutte quelle ali posticce, dalle prime in cera alle ultime in acciaio e cominci a gettare via quei pesi inutili e qualcosa lo calpesti, prima di gettarlo (cosa fisicamente fatta). 
Iniziare a gettare via fa paura. Quella roba era sembrata una parte essenziale della vita, ma dopo il primo pezzo, ci si sente leggeri. Piano, piano si inizia a gettar via sempre più robaccia, sempre con maggior slancio e, infine, stacchi dalla schiena l'ultimo posticcio e con lui l'imbragatura cui da sempre hai attaccato le ali. Imbragatura che ormai sembra una gabbia.
Con tutta la forza, la strappi via e accade l'inimmaginabile.
Il passato diviene quel che doveva essere da tempo: sabbia volata via col vento. Le ferite, anche le ultime che si stanno ancora chiudendo, non fanno più male, anzi su alcune vien da ridere e quando si vede il proprio corpo riflesso, per quanto martoriato, ma ancora solido, ecco che compare quello che non si pensava di avere. 
Avevano sempre mentito.
Ecco le ali, quelle vere!
Non sono forti, perché sono sempre state ferme. Devo imparare a usarle, senza paura.
Finalmente si voltano le spalle a quel che fu, a tutta quella robaccia, troncando di netto e ci si incammina, muovendo quella parte di sé che si impara a conoscere. Inizia il nuovo inizio, il principio della vita da adesso in poi.
Da tutto quel metallo vile è stato estratto il solo oro di chi ho bisogno e quasi vien da ringraziate chi ha spezzato le ultime ali, ma ora voglio le stelle e se andrò troppo in alto e mi brucerò le ali, non importa, avrò toccato il Sole.

Marco Drvso

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