lunedì 1 febbraio 2021

Eudaimonia o della felicità

I grandi maestri del pensiero greco concordavano su una cosa: la felicità vera, la pienezza della vita si ottiene solo nel momento in cui si realizza il proprio daimon, quel demone interiore che rappresenta la propria vocazione o virtù. Questa è l'eudaimonia.
Demone, vocazione e virtù sono da intendersi nel senso classico, precristiano.
Prima di addentrarsi nel discorso, è bene ricordare le parole incise sul tempio di Apollo a Delfi, dove la Pizia elargiva le proprie visioni: γνῶθι σεαυτόν (gnothi seauton - conosci te stesso), seguito dal corollario μηδὲν ἄγαν (meden agan - nulla di troppo, non esagerare). Sono parole potenti, forse contraddittorie, con cui l'oracolo ci sprona a seguire la sana follia che rende la vita meravigliosa, impersonata dal nostro demone, che abbiamo scoperto conoscendo noi stessi, il dono degli Dei o della natura, come perfettamente dimostrato negli scritti, ad esempio, di Bukowski, Nietzsche, Erasmo da Rotterdam e Platone. Se per i primi 3 dell'elenco dei miei saggi può non stupire che abbiano elogiato la follia, leggerlo tra le parole del padre della ragione è la prova di quanto sia grandioso questo dono. 
La seconda frase della Pizia è un avvertimento: non esagerare. Lasciare libera la propria follia o seguire la propria virtù, senza la giusta moderazione e comprensione delle proprie capacità (altra faccia del conosci te stesso), apre la via alla distruzione.
C'è della sana follia nell'artista, in chi inventa, in chi innova, in chi ama, in tutte quelle persone che hanno saputo liberarsi della ragione, per inseguire il proprio demone (caso emblematico è Socrate). Alcuni trovano la vera felicità, l'eudaimonia descritta da Aristotele, altri la dannazione, perché non hanno saputo o potuto fermarsi in tempo, prima di esserne divorati e dalla felicità sono stati piombati direttamente nel proprio inferno.
Capire in cosa si è bravi, cosa dia piacere, è la parte fondamentale del conoscersi e seguire quella via è la strada che porta alla felicità, un autentico 道 (dō - via, cammino; è l'ideogramma che in giapponese si usa come suffisso per indicare le discipline e le scuole di vita, ad esempio butsudō, buddismo-via del Buddha, bushidō, via del guerriero, etc).
Il folle riesce a realizzare il proprio daimon, ma non è così pazzo da farsi sopraffare e conserva la felicità, anche se le cose andranno male. L'importante è sapere che noi mortali siamo privi di istinti, ma dominati da pulsioni (che possono essere indirizzate) e costretti alla ragione, per questioni prettamente sociali e per il bene della specie. La piena follia, vivere al di fuori della ragione e delle leggi di natura è dominio degli Dei e sfido chiunque ad approcciarsi a qualsiasi divinità di qualsiasi culto e portarmi la prova che non sia totalmente folle (per evitare di ammetterlo, alcuni vaneggiano di vie insondabili...).
Questa è la sofferenza di questo moderno mondo della tecnica. L'individuo è spinto a ragionare come se fosse una monade e cercare il massimo per sé, inseguendo una insana follia dettata da una società malata, in mano a gente con evidentissimi problemi, che lo schiaccia e lo trasforma in una risorsa del sistema, l'ingranaggio di una macchina senza pilota, che vive da alienato, salvo gettarsi nella distrazione nei momenti di libertà. Non siamo più parte viva della polis, alla ricerca della propria felicità che cammina col benessere dei nostri simili, ma cannibali in perenne lotta, che si anestetizzano con surrogati precotti e imposti dalla pubblicità, convinti che questo sia il solo mondo possibile. Che fine hanno fatto le domande, il dubbio, la ricerca, la voglia di esprimere in modo pieno e soddisfacente il proprio Io, per la propria e altrui felicità?
Vedo persone che cercano il proprio Io dentro prodotti di massa, alimentando la propria e altrui alienazione, sfuggendo dalla felicità, quella vera e folle. Persino amare si è ridotto a patetica ginnastica e interesse transitorio, mediato dalla necessità di controllarsi, perché la follia e la felicità fanno paura.
Tempo fa mi è capitato di rimare fisso ad osservare un tramonto meraviglioso, a bocca aperta. Ero assolutamente stupido, nel senso più intenso e potente del termine: stupito oltre ogni limite, tanto da restare inerme. Una esperienza rarissima quanto stupenda, come trovarsi davanti alla persona amata e non riuscire a fare nulla, perché si vuole restare in silenzio, come uno stupido, in contemplazione di chi si è scelto per condividere la follia (ovviamente poi si passa alla fase successiva, ma senza quel momento si perde tanto e si rischia la cilecca per troppa emozione; ne scrivo con cognizione). Se si è fortunati, si trova qualcuno che condivida la follia, altrimenti è meglio riprendersela, lasciare giù un feticcio, una falsa follia utile solo a sviare e andare avanti. Mai lasciare la propria follia in mano a chi non sa che farsene.
Ero perso davanti a quel tramonto e la gente che passava mormorava. Ho impiegato un po' a rendermene conto, tanto ero perso nei colori del Sole morente, finché ho sentito un bambino che chiedeva alla madre cosa stessi facendo e lei ha borbottato qualcosa di fastidiosamente idiota. Preso dalla stizza verso di lei, ho domandato, educatamente e con falsa noncuranza, se avesse mai visto un tramonto più bello. Morale: il bambino, che per sua natura è folle, ha sgranato gli occhi verso quello spettacolo, mentre lei e le altre persone intorno hanno gettato una occhiata distratta, alzato le spalle e proseguito, convinti che il pazzo fossi io.
Sciocchezze che ci hanno inculcato per secoli ci hanno eradicato dalla realtà della nostra natura mortale, privandoci della giusta dimensione della nostra esistenza limitata, alla ricerca di una felicità posticcia. Dobbiamo tornare mortali, riprenderci il nostro demone e cercare la vera felicità fatta di follia e moderazione, per la gioia nostra e di quella che oggi è la polis globale, la specie umana che abita la Terra e vive nella natura, perché ne è parte e non proprietaria. Si torni ad osservare un albero senza vedere del legname o della carta. Si torni a sentire il soffio del vento e il calore del Sole senza pensare all'energia per alimentare i baracconi dell'inutile. Si torni a fare arte, di qualunque tipo, cercando lo stupore e la bellezza e non il ritorno economico. Torniamo a gustare gli attimi e abbandoniamo l'orrido precotto e predigerito che ci spacciano per felicità, a cui è preferibile la cicuta.
Conosci te stesso, realizza il tuo demone, danza felice nella tua follia, fino a sfiorare quel limite concesso solo agli Dei e dai un senso al transito in questo mondo, perché dopo non c'è nulla. Vola ora, finché puoi, con le tue ali che il mercato non può venderti, ma può solo illuderti di poterti donare, in cambio del tuo tempo, la tua vita.

Marco Drvso

1 commento:

Unknown ha detto...

La follia negli occhi dell'impavido che accarezza il tempo come la schiena di un gatto... Accorto ma soddisfatto anche nel graffio come ultimo atto di un eccesso...