sabato 4 giugno 2011

Quel qualcosa in più che c'è solo nello stivale

Il grido dei padri fondatori era "o si fa l'Italia o si muore!". Talvolta mi domando cosa penserebbero di questo paese, ma il problema non sussiste, perché sono tutti morti.
La patria era nata sotto i migliori auspici, salvo il fatto che non fu un movimento di unione popolare, bensì una guerra d'espansione ad opera del Regno Sabaudo, a danno di realtà che, sebbene arretrate e sotto governi discutibili, si stavano aprendo al mondo nuovo e altre che erano più avanti della sopracitata Savoia, ma soffrivano sotto il giogo straniero. Grandi uomini e grandi donne che avevano accettato grandi e gravi sacrifici in nome di un ideale, che furono (scusate il termine) trombati a favore di personaggi di dubbia morale e scarse capacità, messi nei luoghi di potere dai soliti noti di allora. Spezzerò, però, una lancia a favore di Cavour: fece moltissimi errori e prese decisioni molto discutibili, ma era in buona fede.
Ci fu poi la parentesi del regime che, fino al '36 ha avuto un bilancio relativamente positivo (positivo per essere un regime...), per poi gettare alle ortiche quanto di buono aveva fatto (sempre ricordando il fatto che era un regime, con tutto quel che concerne). Lo stesso Biagi ricordava che se non fosse stato per la guerra e certe leggi, Mussolini sarebbe morto nel suo letto, venerato dagli italiani. Purtroppo, nel '37 la pressione tedesca e l'idiozia umana si fecero troppo forti e seguirono le leggi razziali, un inasprimento delle pene per i reati d'opinione e la guerra. La gente avrebbe dimenticato il ricino, il confino, gli omicidi di stato, il colonialismo, etc, a favore dell'inps, della riforma scolastica, delle case popolari, etc, ma le ultime immani cazzate erano troppo: anche noi italiani abbiamo il limite della decenza.
Venne, infine, la storia repubblicana, la nostra.
Una repubblica che paga 2 peccati originali: l'aver seppellito l'amor di patria a favore di esterofilia e localismo, francamente idioti, e non aver sparato a Badoglio, che fu il campione della classe politica intrallazzone, voltagabbana e squallida che ben conosciamo.
In 65 anni abbiamo visto di tutto: galatuomini che sedevano affianco a intrallazoni della peggior specie, la perdita quasi totale dell'identità nazionale (aiutata dall'azione dei leccapiedi dei nostri pseudo salvatori, gli invasori yankee), stragismo, terrorismo di vari colori, un tentato golpe nero aiutato e poi negato dai soliti invasori (vedi golpe Borghese), lo sfascio di ottime istituzioni statali, la distruzione della cultura e tanto altro che potrei elencare, se non mi fosse venuto il voltastomaco.
Da Cavour al nano ne sono successe di tutti i colori, ma siamo sempre sopravvissuti. Malgrado quei maledetti parassiti dei falsi invalidi (Zeus li fulmini!), i fancazzisti che mandano in vacca le aziende pubbliche e private, le varie mafie, i corrotti, evasori fiscali e tutta quella gente di merda che rovina il bel paese, si va avanti. Il grande pregio degli italiani è di saper sopravvivere a tutto e la storia, a partire dalla caduta di Roma, ci dimostra che ho ragione.
Siamo un mosaico meraviglioso di culture e ambienti e, sebbene tra uno di Belluno e uno di Catania ci siano le stesse similitudini tra un ainu dello Hokkaidou e un nativo americano  (e qui chi capisce il vero senso della battuta, merita tutta la mia stima), siamo un sol popolo, capace di riconoscersi in una sola cultura che tutto il mondo ci invidia. L'Italia è un piccolo, meraviglioso mondo in miniatura che, malgrado tutto, è unito e si riconosce in una patria, per quanto sgamberata.
Noi siamo un popolo dalle origini variegate, perché nel nostro paese sono arrivati tutte le genti e tutte hanno lasciato la propria impronta. Quando parlo di patria, non mi riferisco a vecchi discorsi di vaga matrice razzista, bensì ad una idea di unità di persone che si riconoscono in un substrato culturale comune. Persone che hanno le proprie origini nel mondo etrusco, greco, romano, germanico, arabo, tanto per citare le antiche genti più o meno autoctone, fino ad arrivare ai nuovi venuti. Su questi ultimi ho un pensiero che non è poi così rivoluzionario: questo paese ha storia e tradizioni che parlano di viandanti, immigrati ed emigrati. Se vogliono farne parte: benvenuti. Chi non ha almeno un antenato giunto da altre terre? Io stesso, nel mio essere fieramente italiano e milanese, non posso garantire le sette generazioni di italianità.
Ovviamente, se chi viene vuole imporsi o per delinquere: di stronzi e delinquenti ne abbiamo già tanti, quindi, barchetta, cammello e via di ball.
Qui in Italia c'è un qualcosa in più che affascina il mondo e quando l'altro giorno ho visto una folla di immigrati che cantavano l'Inno di Mameli, a Treviso, mi sono esaltato tantissimo. 22 regioni, ognuna con una propria fantastica storia che non può essere disgiunta da quella delle altre, che compongono questa nazione. Una nazione che anche quando era realmente divisa, si riconosceva in un solo popolo.
È questa l'Italia che sogno. Un faro di convivenza tra realtà eterogenee che cooperano, per un fine superiore e so che ci arriveremo; spero solo di vedere quel giorno.


Marco Drvso

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