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sabato 1 aprile 2023

Manifesto luciferino della necessità

 In questi giorni ho riflettuto sulla mia condizione e su quella umana in generale ed ho iniziato a stendere queste righe, camminando nel buio.
Una oscurità nata dentro, alimentata dalle tenebre che mi circondano, in un mondo che non è mio, in cui la bellezza e la necessità hanno perso nei confronti dell'oscena bruttura del superfluo.
Non sapevo se avrei finito di scrivere questo pezzo, invece eccomi qui, giorni dopo, a finirlo, ascoltando i Carmina burana di Orff.

Se dovessi dare una colpa al cristianesimo, al di là delle tante cazzate che leggo e sento, è quella di aver confuso il Satana biblico con il Lucifero pagano, incasinando la storia occidentale.
Il primo è un pirletta che si atteggia a signore del male, ma è solo un bambino viziato che sclera col padre, facendo il suo gioco. Non è creatore: solo un mezzo demiurgo che funge da parafulmine per il fratellino e le mosse, discutibili del suo creatore (il solo nel racconto ad essere luce e tenebra). Di fatto, un coglioncello che si crede Re, ma è solo un vassallo da 2 soldi, con buona pace di Milton, che pur attingendo dalla mitologia biblica, usa la figura satanica per descrivere quella luciferina, almeno nella prima parte. Ho adorato quel suo ribelle sconfitto, che finalmente trova un posto tutto suo, peccato il seguito in cui distrugge un personaggio magnifico (nello sviluppo del poema è necessario e nulla toglie alla grandezza dell'opera, anzi).
Il pianeta Venere ha altri 2 nomi, in base alla posizione relativa nel cielo: Lucifero, la stella del mattino, quando compare al sorgere del Sole e Vespero, la stella della sera, al tramonto. Una volta porta luce, una volta porta tenebra, come ogni Dea dell'amore, dai tempi di Inanna.
Nelle mitologie troviamo varie figure luciferine e sataniche, ma al contrario del moderno occidente queste sono ben differenziate.
L'avestico Angria Mainyu o Arimane ben somiglia alla versione dualistica del cristianesimo moderno (dualismo che a chi ha letto e capito la bibbia fa orrore), decisamente uno stronzo, votato alla distruzione; si sta parlando di un rospo autogenerato che sodomizza se stesso per generare demoni e distruggere la creazione (se dovessi spiegare il narcisismo patologico, userei questa figura). Un patetico frustrato, al pari dell'arcangelo caduto.
Una via di mezzo sono il Susanoo shintoista e il Seth egiziano, entrambi frustrati, ma entrambi consci del proprio ruolo nel mondo e artefici del fato, agenti della necessità, oltre che figure realtivamente positive.
Le vere figure luciferine sono complesse. I miei preferiti sono Prometeo e Loki, probabilmente volti dello stesso personaggio.
Al contrario dei personaggi citati in precedenza, non ho inserito il link di wikipedia, perché sono figure di cui ho già scritto e sono così affascinanti che invito a fare ricerche in merito, affrontandoli da più punti di vista. Entrambi si muovono in modo ambiguo nel mito ed entrambi sono puniti dalla figura dominante, che li incatena ad una pietra, a subire il supplizio di una fiera. Entrambi nelle vicende umane e nella nostra creazione (su Loki gli esperti si dividono) e forieri di doni meravigliosi, ma sovente avvelenati, a causa dell'imbecillità umana e divina. Soprattutto:entrambi padroni della propria vita, che portano la propria autoderterminazione alle estreme conseguenze. Entrambi vedono lontano, conoscono le necessità del fato, sanno cosa vogliono, e sanno come ottenerlo, consci dei rischi e delle conseguenze. Loro accendono la miccia e vedono bruciare il mondo, perché così deve essere, senza trarne vantaggio personale.
Loki provoca la morte di Baldr e Hodr, pagandone duramente le conseguenze, al fine di salvarli dal Ragnarok, in cui lui stesso trova la fine, permettendo loro di tornare e dare inizio al nuovo mondo.
Prometeo sa che il fuoco libera le genti umane dalla condizione ferina, ma sa altrettanto bene che il fuoco è l'inizio della civiltà e della guerra, non a caso è lui che sfonda il cranio di Zeus, permettendo la nascita di Pallade in armatura. Insegna a noi mortali a truffare gli Dei, gettandoci nell'agone. Prometeo è quella tecnologia che cura le malattie, ci manda nello spazio e pone in mano a perfetti imbecilli un arsenale atomico.
Loro sono ladri, assassini, traditori, creatori, difensori, gentili, violenti, altruisti... La sola certezza è che hanno trasceso l'illusione del bene e del male e abbracciato l'ananke.
Entrambi sono portatori di luce e ombra, perché il mondo è la magnifica danza degli opposti che compongono il tutto, un enorme Polemòs in cui regnano il caso, Fato, la scelta, Ecate, la necessità, Ananke e le forze di attrazione, Eros, repulsione, Eris e lo scontro/incontro (ho dubbi su questa definizione, ma non trovo una parola migliore) Ares.
L'essere luciferino è questo: colui che punta alla luce, perché è quello il fine dell'esistenza, senza rinnegare la tenebra, il cui abbracciare la consapevolezza della condizione è figlio dell'aver colto il segnale del fato, scelto di volerlo compredere e abbracciato la necessità che governa il mondo, allontanandosi dal superfluo.
Vibriamo a frequenze ridicole, perché così ci hanno insegnato, ingozzandoci del superfluo, perdendo il necessario, senza il coraggio di rompere gli schemi. Abbiamo paura di incendiare il mondo, per salvare quel granello di sabbia che abbiamo comprato sacrificando la vita. Abbiamo paura della nostra volontà e di quel che ci grida il cuore, perché le catene potenziali ci fanno più paura di quelle reali cui siamo costretti. Soprattutto: ci hanno insegnato un falso dualismo, in cui gli opposti si combattono e la scelta di campo è obbligatoria: una follia. Cervelli di Boltzmann anestetizzati, che non creano la realtà, ma subiscono la narrazione altrui, alimentando un mondo folle.
In questo differiscono i luciferini dagli altri. Non vivono nella perenne speranza della salvezza, nel timore della dannazione o seguendo le vacue promesse di una o l'altra parte. Non riescono ad essere soldatini obbedienti di autorità che non riconoscono. Conoscono le regole universali, sanno come muoversi nel loro meandri e sebbene la gravità agisca secondo leggi inalterabili e inviolabili, sanno volare, perché conoscono anche altre leggi che dominano energia e materia. Fanno del problema la risposta.
Io amo i folli, gli zagrei che danzano sconvolgendo Tebe. La gente che una volta sentito fischiare il treno si rendono conto che il mondo è altro. Amo chi comprende che la stella più grande, calda e luminosa non può esistere, senza il freddo e buio, vuoto cosmico ed entrambi sono parte di un unico,
Io amo chi sa brillare dentro, conscio di proiettare anche ombra e come la sopracitata stella sa vestirsi di quella tenebra.
Oggi ananke è uscire dalle gabbie che il mondo occidentale ha creato. Ananke è riappropriarsi della qualità umana che ci rende creature stupende e terribili. Ananke è liberare quella stella ambivalente, portatrice di luce e tenebra che è dentro di noi e farla crescere.
Ogni giorno il fato ci pone davanti a delle biforcazioni del cammino, spesso multiple, in cui scegliere tra più strade. L'essere del superfluo segue il percorso indicato, quello apparenemente semplice che porta a sprecare il transito terreno. Pochi, i consci delle proprie luci e tenebre, che hanno aperto gli occhi (o sono totalmente pazzi, nessuno lo può escludere) decidono di scegliere la propria strada, consci dei rischi e per molti di questi scegliere è una necessità fisiologica. Rompere gli schemi, infrangere leggi fasulle, pagarne le conseguenze, ma farlo a testa alta, alla ricerca dell'essenziale.
Luciferini vi sto cercando, perché da solo non sono in grado di incendiare il mondo, ho bisogno della vostra luce e della vostra tenebra per volare, come voi ne avete bisogno di quelle dei vostri simili.

Marco Drvso

mercoledì 24 agosto 2022

Geworfenheit

Con questo neologismo, traducibile con gettatezza, Martin Heidegger descriveva la condizione umana: esseri gettati al mondo, senza uno scopo o una speranza.
Non riesco a comprendere chi immagini l'esistenza di un creatore o di un demiurgo, che pone regole, giudica e dovrebbe salvarci. Trascuriamo il fatto che questo motore immobile sia di fatto la salvezza e la dannazione e il tutto di cui siamo parte...
Io preferisco visioni orientali e presocratiche, di un mondo che semplicemente esiste ed è un unico in evoluzione. Non è un caso se quando osservo la Via Lattea (in greco Galassia), sempre dico: "casa!". Casa, in teoria, dovrebbe essere Gaia, ma essendo l'unione della Terra e della sua bioma, non è casa, è "noi" e il discorso potrebbe espandersi alla Galassia, l'ammasso di galassie, etc.
Come il concetto di essere può travalicare gli spazi cosmici, può anche valicare il tempo (qualcuno obietterà che essendo spazio e tempo dimensioni della stessa cosa, stia esprimendo una ovvietà). Prima di essere in questa forma, la materia e l'energia che ci compongono sono state altro e noi stessi siamo composti da materia ed energia differente da quelle che ci componevano un tempo: innumerevoli frammenti eterni di materia ed energia, coagulati in una forma, che a sua volta persiste al passaggio di quegli eterni, evolvendosi. 
Fin qui la semplice questione dal punto di vista materiale, con un verso temporale.
Oggi pomeriggioo, un amico mi chiama e domanda: "Drv, ma ancora ci pensi?". Si riferiva a fatti del mio passato remoto, che credeva di aver letto sul blog (così ho scoperto che mi leggi, balordo!).
Mi sono trovato a spiegare come nella scrittura io travalichi i limiti del mio tempo, come se le diverse versioni di me scrivessero all'unisono, nel tentativo di sfuggire da quel momento storico in cui sono ferme. Rileggendo con attenzione quanto ho scritto, ho ritrovato più e più situazioni diverse, chiuse in uno o più post, cosa che mi ha piacevolmente incuriosito e spinto alla riflessione. So bene che scrivo di più cose in simultanea, spesso in modo criptico e ambiguo (è il mio stile ed ha un senso: amo dare diversi livelli di lettura, che rispecchino la complessità di questo mondo, un po' per regalare spunti, un po' perché mi diverte, un po' perché serve alla mia riflessione), mischiando. situazioni diverse, nel flusso di coscienza attraverso cui metto a posto le idee, creando descrizioni delle mie passeggiate all'inferno, utili a chi si trova a vivere vicende simili alle mie; questo è lo scopo dei miei messaggi in bottiglia: arrivare un giorno ad almeno una persona e mostrare una possibile via alternativa. Ciò di cui non mi sono reso conto fino ad oggi, è di essere "fisicamente" ancora in quel luogo e in quel tempo e non ero conscio di aver parlato di alcune situazioni, che invece erano palesi. Saperlo a livello di studio è un conto, verificarlo è un altro. Senza entrare in merito a certe riflessioni sul pensiero, che potrebbe trascendere spazio e tempo, mi limito a descrivere il mio ritrovarmi spalmato su momenti diversi, limitandomi alla sola lettura psicanalitica.
La cosa ha aperto una riflessione enorme sui circoli viziosi della vita umana, attraverso le idee di grandi autori che si incastravano tra loro alla perfezione, fino a giungere alla illuminazione di Gautama applicata alla psicanalisi. Posso dire di aver sfiorato qualcosa che trascende persino le quattro nobili verità: l'inutilità del dolore. Gautama ha mostrato la sua indissolubilità dalla condizione umana ed ha mostrato come andare oltre, ma io ho un vantaggio di 2500 anni di filosofia e scienza (Epicuro, Lucrezio, Leopardi, Nietzsche, etc), che ha aggiunto molto e mi ha permesso di rielaborare. Mi domando da quanto mi ronzasse in testa...
Questa sera ho osservato le stelle, dopo aver chiacchierato con più clienti del bar, ascoltando le loro storie, condendo con le mie (il bello di questo mestiere) e ho realizzato come tutto sia solo un frammento infinitesimale di uno spazio tempo di cui ignoriamo se sia un flusso o un susseguirsi di attimi separati, come i fotogrammi di una pellicola. Un infinitesimo nel tutto, che è tutto a sua volta, le cui gioie e patimenti sono nulla, rispetto alla totalità.
Nulla ha così tanto valore da rubare una parte dell'esistenza, perché l'esistenza stessa è solo un essere gettati al mondo senza uno scopo e questo mi dona la quiete e un incredibile senso di libertà. Tolto lo scopo, crolla il castello delle illusioni umane e apre scenari fantastici, in particolare viene meno la singolarità dell'individuo, che diviene parte del tutto, anzi diviene il tutto (purtroppo siamo in un mondo di psicotici, in cui certi concetti elementari non passano e si vedono i risultati).
La prima grande illusione umana è l'unicità, che genera lo scopo e via fino al totale impazzimento. Nella comprensione dell'essere il tutto che si sperimenta in forme effimere c'è la sola salvezza e la fine del conflitto e, come sempre, si finisce ad Eraclito e Lao Tzi: il divenire e l'equilibrio degli opposti. Tutto il resto è un istante dell'eternità.
Solo la leggerezza di una foglia gettata al vento salverà il mondo.

Marco Drvso

lunedì 1 febbraio 2021

Eudaimonia o della felicità

I grandi maestri del pensiero greco concordavano su una cosa: la felicità vera, la pienezza della vita si ottiene solo nel momento in cui si realizza il proprio daimon, quel demone interiore che rappresenta la propria vocazione o virtù. Questa è l'eudaimonia.
Demone, vocazione e virtù sono da intendersi nel senso classico, precristiano.
Prima di addentrarsi nel discorso, è bene ricordare le parole incise sul tempio di Apollo a Delfi, dove la Pizia elargiva le proprie visioni: γνῶθι σεαυτόν (gnothi seauton - conosci te stesso), seguito dal corollario μηδὲν ἄγαν (meden agan - nulla di troppo, non esagerare). Sono parole potenti, forse contraddittorie, con cui l'oracolo ci sprona a seguire la sana follia che rende la vita meravigliosa, impersonata dal nostro demone, che abbiamo scoperto conoscendo noi stessi, il dono degli Dei o della natura, come perfettamente dimostrato negli scritti, ad esempio, di Bukowski, Nietzsche, Erasmo da Rotterdam e Platone. Se per i primi 3 dell'elenco dei miei saggi può non stupire che abbiano elogiato la follia, leggerlo tra le parole del padre della ragione è la prova di quanto sia grandioso questo dono. 
La seconda frase della Pizia è un avvertimento: non esagerare. Lasciare libera la propria follia o seguire la propria virtù, senza la giusta moderazione e comprensione delle proprie capacità (altra faccia del conosci te stesso), apre la via alla distruzione.
C'è della sana follia nell'artista, in chi inventa, in chi innova, in chi ama, in tutte quelle persone che hanno saputo liberarsi della ragione, per inseguire il proprio demone (caso emblematico è Socrate). Alcuni trovano la vera felicità, l'eudaimonia descritta da Aristotele, altri la dannazione, perché non hanno saputo o potuto fermarsi in tempo, prima di esserne divorati e dalla felicità sono stati piombati direttamente nel proprio inferno.
Capire in cosa si è bravi, cosa dia piacere, è la parte fondamentale del conoscersi e seguire quella via è la strada che porta alla felicità, un autentico 道 (dō - via, cammino; è l'ideogramma che in giapponese si usa come suffisso per indicare le discipline e le scuole di vita, ad esempio butsudō, buddismo-via del Buddha, bushidō, via del guerriero, etc).
Il folle riesce a realizzare il proprio daimon, ma non è così pazzo da farsi sopraffare e conserva la felicità, anche se le cose andranno male. L'importante è sapere che noi mortali siamo privi di istinti, ma dominati da pulsioni (che possono essere indirizzate) e costretti alla ragione, per questioni prettamente sociali e per il bene della specie. La piena follia, vivere al di fuori della ragione e delle leggi di natura è dominio degli Dei e sfido chiunque ad approcciarsi a qualsiasi divinità di qualsiasi culto e portarmi la prova che non sia totalmente folle (per evitare di ammetterlo, alcuni vaneggiano di vie insondabili...).
Questa è la sofferenza di questo moderno mondo della tecnica. L'individuo è spinto a ragionare come se fosse una monade e cercare il massimo per sé, inseguendo una insana follia dettata da una società malata, in mano a gente con evidentissimi problemi, che lo schiaccia e lo trasforma in una risorsa del sistema, l'ingranaggio di una macchina senza pilota, che vive da alienato, salvo gettarsi nella distrazione nei momenti di libertà. Non siamo più parte viva della polis, alla ricerca della propria felicità che cammina col benessere dei nostri simili, ma cannibali in perenne lotta, che si anestetizzano con surrogati precotti e imposti dalla pubblicità, convinti che questo sia il solo mondo possibile. Che fine hanno fatto le domande, il dubbio, la ricerca, la voglia di esprimere in modo pieno e soddisfacente il proprio Io, per la propria e altrui felicità?
Vedo persone che cercano il proprio Io dentro prodotti di massa, alimentando la propria e altrui alienazione, sfuggendo dalla felicità, quella vera e folle. Persino amare si è ridotto a patetica ginnastica e interesse transitorio, mediato dalla necessità di controllarsi, perché la follia e la felicità fanno paura.
Tempo fa mi è capitato di rimare fisso ad osservare un tramonto meraviglioso, a bocca aperta. Ero assolutamente stupido, nel senso più intenso e potente del termine: stupito oltre ogni limite, tanto da restare inerme. Una esperienza rarissima quanto stupenda, come trovarsi davanti alla persona amata e non riuscire a fare nulla, perché si vuole restare in silenzio, come uno stupido, in contemplazione di chi si è scelto per condividere la follia (ovviamente poi si passa alla fase successiva, ma senza quel momento si perde tanto e si rischia la cilecca per troppa emozione; ne scrivo con cognizione). Se si è fortunati, si trova qualcuno che condivida la follia, altrimenti è meglio riprendersela, lasciare giù un feticcio, una falsa follia utile solo a sviare e andare avanti. Mai lasciare la propria follia in mano a chi non sa che farsene.
Ero perso davanti a quel tramonto e la gente che passava mormorava. Ho impiegato un po' a rendermene conto, tanto ero perso nei colori del Sole morente, finché ho sentito un bambino che chiedeva alla madre cosa stessi facendo e lei ha borbottato qualcosa di fastidiosamente idiota. Preso dalla stizza verso di lei, ho domandato, educatamente e con falsa noncuranza, se avesse mai visto un tramonto più bello. Morale: il bambino, che per sua natura è folle, ha sgranato gli occhi verso quello spettacolo, mentre lei e le altre persone intorno hanno gettato una occhiata distratta, alzato le spalle e proseguito, convinti che il pazzo fossi io.
Sciocchezze che ci hanno inculcato per secoli ci hanno eradicato dalla realtà della nostra natura mortale, privandoci della giusta dimensione della nostra esistenza limitata, alla ricerca di una felicità posticcia. Dobbiamo tornare mortali, riprenderci il nostro demone e cercare la vera felicità fatta di follia e moderazione, per la gioia nostra e di quella che oggi è la polis globale, la specie umana che abita la Terra e vive nella natura, perché ne è parte e non proprietaria. Si torni ad osservare un albero senza vedere del legname o della carta. Si torni a sentire il soffio del vento e il calore del Sole senza pensare all'energia per alimentare i baracconi dell'inutile. Si torni a fare arte, di qualunque tipo, cercando lo stupore e la bellezza e non il ritorno economico. Torniamo a gustare gli attimi e abbandoniamo l'orrido precotto e predigerito che ci spacciano per felicità, a cui è preferibile la cicuta.
Conosci te stesso, realizza il tuo demone, danza felice nella tua follia, fino a sfiorare quel limite concesso solo agli Dei e dai un senso al transito in questo mondo, perché dopo non c'è nulla. Vola ora, finché puoi, con le tue ali che il mercato non può venderti, ma può solo illuderti di poterti donare, in cambio del tuo tempo, la tua vita.

Marco Drvso

domenica 17 gennaio 2021

Di vampiri, umani e altri mostri

Fin da piccolo sono un amante della letteratura gotica e sacra (sono ateo, ma adoro leggere testi sacri). Adoro quei personaggi particolari, che racchiudono in loro i grandi difetti e pregi umani, a partire dal bipolare e vanitoso dio monoteista, personaggio che avrebbe seriamente bisogno di parlare con un bravo psichiatra.
Gli dei sono meravigliosi a causa della loro natura tremendamente umana. I semidei, a partire da Gilgamesh, hanno un fascino unico, perché uniscono caratteristiche divine alla natura mortale. Si pensi ad Eracle: tanto possente che potrebbe prendere a sberle l'obliquo Apollo, ma dovrà soccombere al tempo e unirsi ai sudditi di Ade. Mentre lui passerà l'eternità tra le ombre, il suo fratellastro divino, nume del Sole e delle arti, continuerà la sua esistenza in bilico tra l'essere lo splendente signore del Sole (usato dai primi cristiani come immagine di Cristo) e uno degli dei più abbietti e spregevoli. Non è un caso se Eschilo lo definì l'obliquo signore dei topi.
Non è un caso se ho scelto Iavé (chiamatelo come vi pare), Gilgamesh, Eracle e Apollo, per iniziare una trattazione sui mostri. Tutti e 4 sono considerati personaggi positivi, ma a leggere con attenzione le loro storie sono terrificanti e i soli due ad aver intrapreso un cammino di redenzione sono i 2 mortali, Gilgamesh e Eracle, nonostante su di loro sia stato detto peste e corna (Gilgamesh prima del suo incontro con Enkidu era stato un despota dei peggiori e Eracle ha sulla coscienza un gran numero di morti, a partire da sua moglie Megara e i suoi figli), in quanto mortali hanno cercato di ottenere la propria redenzione. Gli altri 2 sono terrificanti e consiglio una buona lettura dei testi mitologici ellenici e romani e dei testi sacri ebraici, cristiani e mussulmani. Loro, però, sono esseri divini e immortali...
La letteratura e la mitologia ci hanno regalato anche personaggi negativi, mostri, che ancora vivono nella cultura di massa e fungono da specchio per i difetti umani. Ce ne sono per tutti i gusti e tipologie di difetti: i licantropi che rappresentano l'incapacità di controllarsi e la bestialità umana, gli zombie che mostrano le masse decerebrate che si muovono come se avessero il pilota automatico (larga parte della popolazione in questo sciagurato XXI secolo), incubi, jin, majin, demoni e via discorrendo. I miei preferiti sono i vampiri (non a caso scrivo storie di vampiri).
Quel che amo della figura del vampiro è il suo essere assolutamente umano, con pregi e difetti portati alle estreme conseguenze, in un corpo a metà tra il divino (è immortale e si rigenera) e la prigione del demone (è limitato dalla luce solare, costretto dalla fame di sangue e relativamente facile da eliminare). Che sia il personaggio ambiguo e crudele del Vampire di Polidori, una delle tante incarnazioni del Dracula di Stoker (che oscillano tra la belva e il personaggio romantico, in base alle varie rivisitazioni), i vampiri Anne Rice (intervista col vampiro), fino a Dio Brando (Le bizzarre avventure di Jojo), hanno tutti in comune l'esasperazione della natura umana. Amano, soffrono, odiano, bramano, etc, con una intensità incredibile e anche quando rifiutano la condizione umana, come Dio Brando e Luis de Pointe de Lac ad esempio, lo fanno perché prigionieri della propria umanità, da cui la trasformazione non li salva, anzi li condanna.
Mentre il mostro di Frankenstein è una sorta di giudice che condanna la tecnica, fungendo come altri mostri da monito, come le Erinni, altri sono semplici spauracchi, come gli incubi e le succubi, il vampiro siamo noi. Lo specchio non riflette la sua immagine, perché riflette quella dell'autore e del lettore.
Il vampiro è una creatura che esprime al meglio il suo Io, nei limiti dettati dalla sua natura (tutti gli autori concordano sulla brama di sangue, ma non sulla mortalità alla luce solare) e questo io è assolutamente umano, con una sola differenza sul mostro: il vampiro tende a raggiungere un equilibrio col mondo circostante e vive i propri sentimenti senza paura.
Il mostro reale, invece, vive di pulsioni surrogate e avanza in orde di morti viventi ad accaparrarsi beni in cattedrali del commercio, mentre reprime le proprie pulsioni, schiacciato dalla società di cui sceglie di esser soggetto passivo. Attiva la propria animalità solo a comando, come la Luna per il lupo mannaro, senza viverla in modo sano. Agisce in modo inconsapevole come le furie di Marte, seguendo il pifferaio di turno.
Noi umani abbiamo raccontato storie fantastiche su esseri magnifici e tremendi, ma in realtà raccontavamo noi stessi. Ognuno di quei mostri, dei, semidei, etc, altro non è che un tratto della nostra natura, raccontata attraverso metafore che descrivono i tempi in cui vive l'autore.
È tremendo constatare come la nostra specie sia capace di vette altissime, abissi incolmabili e terrificante piattume (divinità, mostri e morti viventi).
Quelle storie ci insegnano quali siano i limiti, pregi e difetti umani: dovremmo imparare a coglierne il senso.

Marco Drvso

domenica 4 ottobre 2020

Io e la pietra filosofale

In questi ultimi messaggi in bottiglia lanciati nel mare della rete, ho spesso usato la metafora della pietra filosofale. Mi sembra doveroso scrivere un pezzo su questo argomento, che già ho trattato in passato, ma non ho piacere a ripescare dall'archivio, perché quelle erano le parole di un io che non sono più.
La leggenda, che si fa risalire al mitico Ermete Trismegisto, il tre volte maestro ermetico possessore della tavola smeraldina, narra della possibilità di creare un manufatto capace di concedere l'onniscenza, l'immortalità e convertire i metalli vili in oro; quest'ultimo punto è quello che ha accesso la fantasia dei più, la trappola degli stolti. Da migliaia di anni se ne parla e scrive, a partire dai mistici egizi, passando per Platone, Agostino, fino ai giorni nostri, sia in consessi iniziatici, sia nella cultura di massa e in quella colta, ad esempio: il Mutus Liber, testo iniziatico con alcune delle più belle incisioni che abbia mai visto, Harry Potter e Il flauto magico di Mozart, meravigliosa opera intrisa di allegorie massoniche e saperi iniziatici (Mozart era massone).
Doverosa precisazione: non credo nell'esistenza del sasso magico, come descritto nella cultura di massa e nessuno mi toglierà dalla testa che i vari Saint Germain, Cagliostro e altri che hanno millantato di aver mutato metallo vile in oro, stessero mentendo. Nonostante ciò, io so che esiste la pietra filosofale, so come ottenerla e lo sto per descrivere. Sia chiaro: sarò breve, mi limiterò ai passaggi fondamentali, non spiegherò ogni riferimento, né discuterò le enormi differenze tra il sapere scientifico moderno e quello alchemico.
Bisogna giungere alla fusione dei quattro elementi aristotelici, delle forze del mondo, il mondo materiale e quello trascendente, la vita e la morte, in un solo oggetto. 
L'alchimista pone la materia nel crogiuolo e lo chiude nel suo athanor per la prima fase, quella nera: la decomposizione. Si inizia dalla morte, sotto Saturno.
La seconda fase è bianca e avviene sotto la Luna, la forza femminile, la rinascita. Tramite calcinazione e distillazione si ottiene la prima essenza.
La terza fase è gialla e chiama il Sole, la forza maschile. Le operazioni sono la combustione e la sublimazione.
L'ultima fase è rossa ed è Mercurio (in greco Hermes, Ermete) a presiedere. Il composto coagula, avviene ciò che è definito le nozze alchemiche; le coppie degli opposti si fondono e sorge l'uno. Tamino e Pamina finiscono il loro viaggio
I più, giunti a questo punto, si limitano a ridere delle antiche credenze (alcune sono strampalate) o chiedere dove sia l'oro. Costoro non hanno approfondito o non hanno capito.
Una piccola parte intuisce. Tra loro, questo indegno Papageno cui tanti anni fa una persona saggia indicò la via, ovviamente in modo criptico, affinché non donasse perle ai porci.
Per prima cosa, l'alchimista deve imparare. Le lezioni si svolgono sia sui libri, sia nel mondo. È suo dovere imparare a distinguere il sapere e scegliere cosa coltivare e se è fortunato, può incappare in maestri che lo aiutino, se meritevole, nel suo cammino. Un cammino comune a molte filosofie, in tutto il mondo.
Una volta raggiunto il sapere o una parvenza di esso (per il Sapere non basta una vita), ha gli strumenti per iniziare: accetta di morire. Prende la sua anima, colma di esperienza e la chiude nel suo cuore caldo, un luogo dove solo lui giunge e lascia morire ciò che lo avvelena. Forse è il passaggio più duro, perché soppesare la propria vita fa male ed è facilissimo fuggire e abbandonare l'opera. È il cammello di Nietzsche che abbandona i pesi.
Quella massa informe ora va divisa e la parte sana va portata alla luce. L'alchimista rinasce (viene alla luce). Ciò che era non è più. Qualcosa di nuovo è uscito dalle tenebre, come un soffio, ma è ancora informe, facilmente corruttibile. Questo è il passaggio più delicato, è un attimo mandare tutto a rotoli. Ciò che si è ottenuto è fragile, indifeso: le corazze sono cadute, c'è solo l'essenza, che è un germoglio bisognoso di cure.
Quella massa va fatta brillare e danzare come una stella, la terza fase. Da illuminata deve diventare luminosa, ma anche a questo punto si corrono dei rischi. Può sorgere una inutile superbia, un leone rabbioso convinto di essere giunto alla fine dell'opera, che si lancia nella savana, senza ancor aver appreso come muoversi. Quella superbia è un peso pronto per il cammello.
Io credo, spero, di essere arrivato a questo punto. Sento quella tragicomica superbia, ma ho imparato a distinguere il piombo e l'oro. Devo proseguire la combustione, devo bruciare a temperature altissime, affinché tutto sia libero. Voglio amare, soffrire, ridere, piangere, urlare, correre, fino allo sfinimento, affinché ogni parte di quella massa calcinata e distillata possa vivere e splendere, come una stella bonaria, che dona luce, senza ambizioni fallaci, senza chiedere nulla indietro. In un certo senso è una nuova morte, nel senso più ampio: il cambiamento.
La fase successiva sarà la più bella. So esattamente in cosa consisterà, ma non voglio parlare di ciò che conosco in via teorica e non so se raggiungerò. Se dalle fiamme gialle seguirà la sublimazione, verrà la luce rossa, la coagulazione e nascerà il fanciullino. 
Qualcosa di nuovo, ancora sconosciuto, che saprà essere sé e l'altro da sé, qualcosa cui ambisco con tutte le mie forze. Qualcuno che saprà toccare il piombo che lo circonda, rendendolo oro, da donare agli altri. Ecco la pietra della sapienza. 
Il lungo cammino doloroso dell'alchimista si compie: ha la sapienza di chi decide la sua vita, trasforma il pesante piombo che avvelena la vita altrui in oro, senza tener nulla per sé e le sue azioni rendono immortale il suo nome, ma non gli interessa. Questa è la mia ambizione.
Magari ho sbagliato tutto e il significato della pietra è un altro, ma questo è il cammino che voglio seguire.

Marco Drvso

venerdì 2 ottobre 2020

La Terra e Solaria

Uno dei primi romanzi letti in vita mia è Il Sole nudo (The naked Sun, 1956) di Isaac Asimov.
Non ricordo se fosse l'estate del 1989 o del 1990, quando incontrai le parole di quello che sarebbe diventato uno dei miei narratori preferiti in gioventù, ma ricordo bene come divorai quel romanzo, seguendo ogni passo dell'indagine del detective Elijah Baley e R Daneel Olivaw (R sta per robot), nell'intricata vicenda di un omicidio assurdo.
Questi mesi folli, per me e il mondo, mi hanno riportato alla mente le immagini descritte in quel romanzo.
La vicenda è ambientata in un futuro non esattamente utopico, in cui la specie umana si è divisa in due grossi gruppi: i terrestri e gli spaziali (nell'universo di Asimov non ci sono alieni) e tra loro non ci sono relazioni amichevoli, quindi l'aver chiamato un terrestre su Solaria per risolvere l'omicidio del Dr Delmarre e scagionare Gladia la principale sospetta e moglie della vittima, desta un certo scandalo.
I terrestri, dopo aver conquistato i cieli, sono stati attaccati dagli spaziali, che li hanno segregati sul pianeta, costringendoli a vivere in città sotterranee (gli abissi d'acciaio, da cui prende il titolo il romanzo precedente della saga), una sorta di guscio rassicurante, in cui sopravvivere alle avversità. In questa immagine rivedo quel io che aveva paura di volare. Notevole il passaggio in cui la moglie di Elijah sconsiglia al marito di prendere l'aereo, preferendo la "celere", un treno sotterraneo. Sono tutti agorafobici.
Solaria è opposta e identica alla Terra. Un pianeta rigoglioso e altamente sviluppato in cui la popolazione vive separata. Tale è la paura della contaminazione, che le persone si incontrano tramite schermo e ogni contatto inutile è evitato. Il Dr Delmarre, ad esempio, è un fetista: si occupa di coltivare in vitro le future generazioni di Solaria, lavorando su campioni che i cittadini raccolgono a casa, con appositi kit e inviano alla sua struttura. I bambini sono cresciuti dai robot domestici (dettaglio: sulla Terra i robot sono banditi), senza contatto coi genitori. Gladia dice chiaramente ad un esterrefatto Elijah di aver fisicamente incrociato per una manciata di volte il marito, con cui condivideva la casa e ogni volta era stato un caso.
Quando Elijah, stufo di guardare un monitor, chiede di parlare fisicamente alle persone, c'è un mezzo scandalo e a nulla servono le parole di Daneel: agorafobico sì, ma vuole il contatto.
Ogni Solariano è una Terra in miniatura, chiuso nel proprio guscio asettico, lontano dal mondo.
Gli incontri tra i detective e i solariani sono assurdi. I solariani si presentano con guanti, filtri respiratori e mascherine e tengono i due a distanza di sicurezza, vivendo la situazione con disagio. Il detective Baley ha un problema analogo con gli spazi. Guarda i solariani con distaccato disprezzo e soffre il fatto di trovarsi in spazi aperti. Il contatto della pelle con l'aria aperta e i raggi di un sole nudo lo travolgono, fino allo svenimento. Ogni trasferimento è una sofferenza e spesso tocca a Daneel trarlo d'impaccio, riportandolo tra 4 mura, nonostante il rapporto tormentato, almeno all'inizio, tra i due. Elijah è stato cresciuto pensando male dei robot, ciononostante ne apprezza i pregi ed è il solo a sapere che Daneel Olivaw sia un androide, segreto che custodisce gelosamente.
In questo folle momento storico, mi sembra di vivere in degli abissi d'acciaio, circondato da solariani. Vedo persone sempre più chiuse e distanti, in un mondo che si sta chiudendo. Siano queste ossessioni, paure, un cambio culturale, non saprei dirlo, ma sta avvenendo. Prima ero uno di loro, riconosco i miei ex simili.
Un mondo sporco e sovrappopolato, fatto di monadi è ciò che ci aspetta?
Nel libro c'è una speranza, rappresentata dai protagonisti.
Gladia è un'artista e soffre la cultura solariana, infatti dopo un breve flirt con Elijah sceglie di lasciare quel pianeta di pazzi, arrivando a sposare un colono e avere con lui 2 figli (nel romanzo successivo). Elijah torna sulla Terra, con uno spirito rinnovato e decide di vivere sotto un sole nudo, seguito da altri. Le scelte di queste due persone daranno nuovo slancio a tutta l'umanità (solariani esclusi: quelli arriveranno a modificarsi geneticamente, diventando ermafroditi, pur di evitare contatti, come scoprirà 20000 anni dopo Golan Trevize, ma è un'altra storia), con la fondazione del primo impero, fatto di spaziali e coloni terrestri, che hanno superato la follia dilagante.
Mi riconosco nella evoluzione di Elijah e Gladia e nel modo in cui escono da un guscio imposto e pesante, non senza difficoltà, inventandosi una vita nuova, forse è anche questo che mi ha fatto tornare alla mente questo romanzo.
Non ho trattato quello che è il mio personaggio preferito, perché merita un pezzo solo per lui. Mi limiterò a dire che R Daneel Olivaw è uno dei personaggi più belli creati da Asimov, perché cconscio di essere una macchina, si definisce una persona, pur non volendo essere umano. Ha sogni, ambizioni, sentimenti (non scorderà mai i suoi amici umani, neanche dopo millenni) ed è il solo artificiale ad aver trasceso le leggi della robotica. Daneel rappresenta l'ideale della persona che si accetta per quel che è la sua natura, ma non rinuncia ad evolvere e non è un caso se l'entità artificiale di uno dei miei racconti è modellata su di lui. 
Tre personaggi che vanno oltre il loro essere e modificano il mondo intorno a sé: quello che dovremmo fare tutti noi. Quello che dovrebbe voler dire: essere umani.

Marco Drvso

mercoledì 18 luglio 2018

Hallucigenia e brontosauri

Quando si intrattiene una discussione, su qualsivoglia argomento, sarebbe cosa buona e giusta partire dal presupposto che si potrebbe anche dire una cazzata, a causa di dati incompleti, fanatismo nei confronti di una data scuola di pensiero o una visione troppo ristretta rispetto ad un quadro generale molto più ampio.

Per spiegare tale tesi, parlerò di due simpatici animali, ormai estinti, che sono stati al cento di ricostruzioni discordanti, diatribe e scoperte. Nel vasto mondo delle scienze fisiche e naturali ci sarebbero molteplici esempi, taluni esilaranti, come la disputa tra plutonisiti e nettunisti agli albori della geologia (la leggenda vuole che finirono a botte), altri fin troppo noti e discussi, come il confronto tra le idee di Tolomeo e Galileo, ma sarebbero lunghe, verbose e non aggiungerei nulla, solo noia.
Unico dettaglio che mi preme far notare è: Claudio Tolomeo (qualunque fosse il suo vero nome) non aveva torto, alla luce delle conoscenze dell'epoca e in un mondo dominato dalla fisica aristotelica, che non conosceva concetti base come gravità, relatività, contemplava l'idea di corpi assolutamente immobili ed era carente di strumentazione, il Mathematike syntaxis o Almagesto, che dir si voglia, era realmente la somma espressione della scienza astronomica. Persino Brahe, che per primo descrisse il moto dei pianeti come eliocentrico, dovette porre la Terra in un centro immobile, intorno a cui ruotava il Sole, contornato dai pianeti, perché il moto terrestre scandinava ogni nozione nota. La grande rivoluzione di Galileo non fu il sistema eliocentrico (di Copernico), ma lo smantellamento della fisica aristotelica e l'introduzione di concetti come le relatività.
I due simpatici animali di cui sopra sono lo hallucigenia e il brontosauro.
La lucertola del tuono, il brontosauro fu scoperto e descritto da Marsh, durante l'epoca "eroica" della paleontologia, in piena guerra delle ossa (botte da orbi tra lui e Cope, per chi scopriva più fossili e danneggiava maggiormente l'altro e le sue squadre; non erano esattamente personcine) salvo poi ricredersi e riclassificare le ossa come appartenenti al genere apatosaurus (lucertola ingannevole; mai nome fu più azzeccato). Il brontosauro divenne subito famosissimo tra i non addetti ai lavori, suscitando ilarità e scoramento nei paleontologi, che tendono ad incazzarsi con produttori di giocattoli e pseudodivulgatori quando vedono inserire tra i dinosauri: rettili marini e pterosauri (per non parlare del dimetrodon, vissuto nel paleozoico e affine a noi mammiferi).
La vicenda non si concluse con quella correzione, ma andò avanti per più di un secolo, a causa di materiale troppo frammentario (non sono stati trovati scheletri completi, né crani), che faceva scontrare gli studiosi sull'attribuzione delle ossa ad individui di qualche specie di apatosauri (tesi accettata e insegnata quando ero all'università) o ad un diverso genere e solo 3 anni fa si è deciso che il genere brontosaurus sia esistito e sia parente del genere apatosaurus. 100 anni a dare del pirla a chi parlava di brontosauri, salvo ricredersi. Ovviamente, molti non concordano e la diatriba continuerà a lungo, insieme a tante altre.
Nel caso dello hallucigenia la storia è ancor più divertente e mostra come i dati, l'interpretazione di questi e la strumentazione possano ribaltare tesi accettate. Si parla di un esserino di circa 15 mm vissuto nel Cambriano, oltre 500 milioni di anni fa, dalla forma decisamente bizzarra, una sorta di sifulotto con aculei e tentacoli (non so come funzionino le attuali norme sul diritto d'autore, quindi vi invito a cercare la foto in rete).
Negli anni '10 fu liquidato come anellide bizzarro, denominato Canadia Sparsa e dimenticato, all'epoca i dinosauri riscuotevano più successo e l'analisi dei fossili al microscopio era difficoltosa, quasi impossibile.
Verso la fine degli anni '70 fu nuovamente studiato e ribattezzato Hallucigenia Sparsa, per la sua forma stramba. I 14 aculei furono interpretati come arti rudimentali, le 6 coppie di tentacoli furono identificate come bocche (la fauna cambriana è assurda), il rigonfiamento presente ad una estremità fu identificato come una sorta di testa priva di bocca e occhi e il tentacolo all'altra estremità fu identificato come una appendice dotata di ano, ma restava il mistero delle coppie di tentacoli più piccoli, siti alla base di quello di coda e non presenti in tutti gli individui. Così descritto appariva come una bestiola goffa, cieca, relegata ai fondali e di difficile attribuzione ad un gruppo preciso, probabilmente all'interno di phylum degli artropodi.
Tanto era assurda tale creatura, che qualcuno ipotizzò che fosse parte di qualcosa di più grande, di cui non si era conservato il corpo intero.
Negli anni '90, grazie al miglioramento delle tecniche di microscopia sui fossili e qualche sovvenzione (la pecunia è uno dei grandi limiti della scienza), si scoprì che quelli che erano stati descritti come tentacoli dorsali, atti alla nutrizione, presentavano strutture simili agli artigli dei tardigradi, perfetti per muoversi e arrampicarsi. La bestiola fu ribaltata, i tentacoli diventarono zampe, le zampe diventarono aculei dorsali, il rigonfiamento all'estremità fu identificato come macchia e non erano artropodi. Il problema era trovare la testa.
Nel 2015, casualmente l'anno della rinascita del brontosauro, è stato pubblicato uno studio, condotto con l'ausilio del microscopio elettronico e il confronto di fossili di specie simili di recente scoperta, in cui si descrive la vera (per il momento) forma di questo animale. In quello che era stato identificato come l'ano sono stati visti dei denti (non trattasi del mitologico culo dentato). Sopra quella che ora è una bocca, hanno visto 2 cavità interpretate come occhi. Siamo passati da uno scherzo di natura ad un animaletto relativamente agile, ed elegante, che scorrazzava per gli oceani, cheregala interessanti informazioni sull'evoluzione animale, catalogato nel phylum lobopedia, insieme a creature coeve ed altre attualmente esistenti.

Marsh non aveva abbastanza dati. Gli studiosi che si sono approcciati ad hallucigenia hanno avuto il problema di lavorare su creature piccole, vissute nell'epoca degli scherzi di natura, con mezzi limitati. Tolomeo era limitato da una tecnologia ridicola (dal nostro punto di vista) e da una scienza che muoveva i primi passi, ancora legata alla magia. Brahe, l'ultimo astronomo senza lenti e maestro di Keplero, dovette spiegare il sistema solare in un difficile equilibrio tra ciò che misurava e ciò che viveva: non sapeva che la sensazione d'essere fermi non è legata ad un mondi statico, ma ad un mondo in movimento, che non subisce accelerazione, un concetto ipotizzato e dimostrato anni dopo da Galileo.
È indubbio che avessero torto, ma un torto cagionato dalla mancanza di dati, strumenti e di una visione più ampia. Se loro e tanti altri che certamente non possono essere annoverati tra i pirla, hanno sbagliato per le questioni di cui sopra, su argomenti che conoscevano bene, figurarsi noi comuni tapini cosa possiamo combinare. Questa regola vale per ogni argomento, per questo reputo sensato tenere a mente che si potrebbe avere torto.
Sia chiaro: risposte tipo "lo dice la bibbia, il corano o repubblica" (al momento, insieme ad altre testate, trasmissioni e blog, è una delle pubblicazioni che fungono da testo sacro per le moderne religioni laiche, i cui credenti sono ben più molesti e indottrinati dei peggiori bigotti monoteisti), non si può scusare. Un conto è non avere gli strumenti, un altro è autolobotomizzarsi per seguire una idea imposta da altri o sposata sulla via di Damasco.
Tutto può essere interpretato in modo relativo, anche i numeri, ma limitarsi ad un solo punto di vista è la morte del pensiero creativo.

Marco Drvso

sabato 16 settembre 2017

Materia di sogni e stelle

Scriveva Il Bardo ne La tempesta:"Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita".
Era il XVII secolo Galileo dimostrava Copernico, togliendoci dal centro dell'Universo, distruggendo quel magnifico, fermo ed immutabile universo magnificamente descritto da Aristotele e Tolomeo, gettandoci in uno apparentemente caotico, privo di centro, privo del punto fermo, fondendo per primo moto e quiete in un gioco relativo delle parti. Pochi anni dopo Newton diede ancor più senso all'universo di Galileo, in un secolo che vide il fiorire della scienza e della scoperta.
Visto così, sembra un gran secolo, peccato che il '600 si ricordi per guerre religiose, controriforma, roghi di streghe (voglio sfatare un mito: i più attivi incendiari non furono i cattolici, bensì i protestanti), peste, superstizione, ignoranza e per esserci giocati il grandissimo Giordano Bruno.
 Bruno. Lui e Shakespeare avevano intuito qualcosa di fondamentale, che la scienza moderna ha ampiamente dimostrato: siamo fatti della materia dei sogni e delle stelle.
Il sogno è un prodotto elettrochimico del nostro cervello, ne consegue che materialmente è ciò di cui siamo fatti noi. A nostra volta, gli atomi che ci compongono sono "nati" nelle stelle, per fusione nucleare: c'è stato un tempo in cui fummo tutti la supernova che ha dato vita alla nube di Kant-Laplace, da cui nacquero il Sole e i Pianeti, compreso Gaia, di cui siamo parte. L'energia che ci permette di funzionare è prodotta dal Sole, una stella. La materia e l'energia, come scoperto e dimostrato nel XX secolo, sono la stessa cosa, in forme diverse (è volutamente semplicistico, non mi pare il caso di buttarmi in disquisizioni su Einstein, Plank e la fisica degli ultimi 2 secoli).
In origine eravamo la singolarità che ha dato inizio a tutto, siamo stati quel "brodo" indistinto da cui hanno fatto capolino le particelle elementari, ci siamo uniti in particelle più grandi, poi in atomi di idrogeno, poi ci siamo uniti nelle prime stelle, ci siamo fusi in atomi più grandi, siamo esplosi, ci siamo riuniti in altre stelle, pianeti e infine, nel gioco del caos, questa polvere di stelle si è unita e divisa per dare forme sempre diverse, fino a scriversi in un codice che si è trasferito da una forma all'altra, da quando eravamo poco più che cellule, poi vermiciattoli cordati, pesci, anfibi, rettili, mammiferi e siamo arrivati qui. 15 miliardi di anni in cui abbiamo cambiato forma e essenza. Ci siamo rimescolati, divisi, uniti, in quella lunga sarabanda chiamata vita dell'Universo, del quale sappiamo ben poco.
Siamo polvere di stelle e sprechiamo l'esistenza inseguendo idiozie, trascurando il peso del nostro retaggio.
Siamo stelle, impariamo a brillare e facciamo per qualcosa di grande, come regalare sogni a chi vedrà la nostra luce, quando ci saremo spenti, ma l'eco luminoso riempirà ancora il cielo e, magari, l'essere che faremo sognare saremo noi, sotto una nuova forma.

  Marco Drvso

sabato 26 agosto 2017

La festa del paradiso

Questa estate, complice il fatto che non mi sono mosso da Milano, ho approfittato delle molte iniziative, dai musei civici gratis ai concerti al castello.
Le serate organizzate al castello sono state stupende, compresa quella in cui è scoppiata la grandinata e ci è toccato seguire il concerto da sotto le tettoie delle mura. A tal proposito, vorrei fare una menzione speciale per l'orchestra e i cantanti, che non solo ci hanno proposto musica di ottimo livello, ma incuranti del fortunale hanno continuato a suonare e con quel che veniva giù (Giove Pluvio si è impegnato) sicuramente si sono bagnati, nonostante il telo di protezione sopra il palco.
Questa sera, il clima ci ha graziati tutti.
Visto che non dovevo proteggermi dalla pioggia, ho potuto seguire degnamente il concerto (anche questo molto bello, ben oltre le aspettative!) e bearmi della cornice suggestiva della piazza d'armi.
Rapito dalle note e dallo scenario, la mente è volata verso immagini di un lontano passato, alle magnifiche feste che il moro faceva organizzare a Leonardo. Per un attimo, sono svaniti il palco e gli altri spettatori, ma non la musica, e sono comparse le macchine scenografiche di Leonardo, usate per la festa del paradiso.
Fu il più grande evento mondano della Milano rinascimentale, il matrimonio tra il vero duca, Gian Galeazzo Maria Sforza (nipote di Ludovico il moro, che gli fece da reggente, fino al giorno in cui se lo tolse dai piedi) e la figlia del Re di Napoli, Isabella D'Aragona, donna forte e affascinante (vi invito a cercarne i ritratti e i busti giovanili), che ebbe la sfortuna di avere un marito ridicolo con uno zio spregiudicato nel gestire il potere e parenti ancor più rapaci di quelli acquisiti (il suo prozio era quel Ferdinando che mandò Colombo in America).
Quella volta, Leonardo volle esagerare e fu un trionfo.
Progettò un insieme di macchine, con un complesso sistema di corde, luci e specchi che simulava la volta celeste, con attori che si muovevano dentro le sfere celesti, interpretando le divinità classiche che davano il nome ai pianeti. Gli astri si muovevano e le divinità scendevano dal cielo, per porre i propri omaggi alla coppia di novelli sposi, il tutto condito da musiche e angioletti svolazzanti, sorretti da corde.
Stiamo parlando del buon Leonardo, mica del primo pirla.
Un po' desta meraviglia, pensare al livello che si è raggiunto nelle varie epoche, nella nostra disastrata penisola, un po' fa male pensare che poco dopo iniziò l'occupazione francese, che bloccò i sogni unitario di Ludovico Sforza, rimandando l'unità di quasi 4 secoli, lasciando tale onore alla famiglia meno adatta per compiere tale impresa.
Penso che quando siamo stati liberi di scegliere il nostro destino, siamo stati grandi, quando siamo stati sotto controllo straniero siamo decaduti e vale per ogni periodo, dal crollo di Roma ad oggi.
Purtroppo siamo stati colonia americana per troppo tempo ed ora ci troviamo sotto un giogo peggiore. 70 anni in cui la classe dirigente è stata sempre calata dall'alto, col solo scopo di segarci le gambe ed alimentare un tremendo scoramento, sfociato nell'autorazzismo di tanti imbecilli: perché nel dissenso e nella critica c'è nobiltà, nello sputare fango e preconcetto indotto c'è solo la miseria umana.

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!

Quell’anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa; 
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s’alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz’esso fora la vergogna meno. 
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
 

(Durante di Alighierio degli Alighieri, detto Dante; Purgatorio, canto VI)

Marco Drvso

PS 
Firmare un post, sotto una citazione di Dante, mette soggezione.


lunedì 1 dicembre 2014

L'evento, l'osservatore e il cronista

Nella vita ho avuto una grande fortuna: incontrare grandi maestri. Purtroppo sono un pirla e non ho saputo sempre approfittare di quel che mi donavano. Due in particolare mi hanno segnato l'esistenza in positivo: Livia Casagrande, la mia maestra di italiano delle elementari e Giulia Terzaghi, la mia mai abbastanza compianta insegnate di letteratura alle superiori.
Per essere uno che ha sempre venerato il sapere scientifico e posto quest'ultimo sempre al di sopra di ogni altra conoscenza, riscoprirmi, qualche anno fa, amante della letteratura, della storia e fanatico delle scienze umane è stata una piacevole evoluzione. Forse anche questo è uno dei motivi per cui non mi sono mai laureato in geologia (oltre al fatto che sono un pirla).
Verso queste due grandi donne ho un grandissimo debito che riguarda lo sviluppo di uno spirito critico e la scoperta di quanto sia importante comprendere le parole, saperi e abilità che per un aspirante scienziato erano essenziali quanto la matematica. Penso di non esagerare nell'affermare che per la quasi totalità delle discipline la conoscenza precisa del linguaggio, dei meccanismi della matematica e uno spirito critico ben affilato siano la condicio sine qua non.
Premettendo che resto un cazzone, negli ultimi anni ho iniziato un gioco divertente. Quando leggo un articolo o seguo un servizio, oltre a sentire le due campane, investo del tempo in una analisi puntuale del linguaggio della notizia.
Mi sia concessa una digressione. Enzo Biagi sosteneva che per raccontare una notizia fosse necessario un punto di vista; affermazione sacrosanta ed in accordo con la relatività di Einstein. Di fatto, ogni evento muta parte della propria natura in base all'osservatore. Persino la proverbiale mela di Newton, per un osservatore posto a testa in giù, anziché cadere, si muoverebbe verso l'alto, collidendo con la testa del fisico, posta tra la fronda e la terra o un osservatore sulla mela potrebbe dire che sia stata la testa a collidere col frutto, etc (spero di aver reso l'idea). A questo punto, molti sono soliti sollevare l'obiezione secondo cui sarebbe possibile azzerare, limitando la descrizione dell'evento ad una cruda e matematica descrizione quantitativa dell'evento.
Si parta da un presupposto facilmente verificabile: al contrario di quel che ripetono in molti, il fatto che la matematica sia una scienza esatta, non la rende libera da interpretazione e manipolazione. Mentire con i numeri, a fronte di operazioni svolte correttamente con il giusto risultato verificabile,  è molto più banale di quanto si possa pensare, persino più semplice che mentire con le parole.
L'evento stesso, pur misurato con precisione assoluta e ridotto all'osso avrà sempre una certa quantità di discrezionalità legata all'osservatore, anche se questi fosse la persona più retta e precisa in circolazione. Spiacente, ma dalla relatività non si scappa.
Facendo finta di vivere in un mondo meraviglioso in cui tutti dicono la verità (e facendo finta che in universo relativistico la verità esista e sia univoca), ci scontriamo con il racconto dell'evento e qui entra in ballo Heisenberg. Senza tediarvi oltremodo sul principio di indeterminazione, mi limiterò ad una sua brevissima, incompleta, superficiale e inesatta postulazione: l'osservatore, nonostante cerchi di evitarlo, influenza l'evento. Se tale affermazione risulta di immediata comprensione, immaginando l'osservatore-cronista fisicamente presente all'evento, che quindi interagisce, anche involontariamente, con l'ambiente circostante, si potrebbe obiettare che l'osservatore e cronista che studia e divulga un fatto cui non è testimone diretto, ma lo ricostruisce tramite i perfetti dati ottenuti da terzi, non possa in alcun modo influenzare l'evento.
Sarebbe bello....
Siamo convinti che l'evento si concluda nel momento in cui avviene, ma non è vero. Come magnificamente descritto da Hawking in "Dal Big bang ai buchi neri - Breve storia del tempo" l'evento non inizia né si conclude mentre avviene, ma è solo un punto in cui converge una catena di cause e diverge una catena di conseguenza. Immaginate due coni, uniti per i vertici: il cono inferiore rappresenta tutti i singoli eventi che hanno portato al fenomeno in esame, posto nel punto in cui i vertici si toccano e da quel punto parte il cono delle conseguenze (il grande fisico li chiama cono del passato e del futuro dell'evento). L'evento altro non è che un punto in qualcosa di più grande che attraversa lo spazio e il tempo.
Prendiamo ad esempio la mela caduta nell'annus mirabilis 1666, dando per scontato che sia accaduto realmente. I singoli eventi che hanno portato quella mela a cadere in testa a Newton si possono far risalire al momento in cui la singolarità è esplosa, dando inizio all'universo, passando per la formazione della Terra, per le teorie di Galilei, fino ad uno sconosciuto contadino inglese che ha piantato l'albero e le conseguenze si estendono, a partire da una imprecazione cui seguì la formulazione della legge di gravitazione universale ad arrivare a questo misero scritto, passando per film, citazioni e missioni spaziali. In teoria l'evento è un pomo che ha percorso un tragitto dal punto A, sull'albero, al punto B, la testa di Newton, ma applicando la legge di gravitazione e la relatività sappiamo che in maniera meno che infinitesimale parte del percorso è stato fatto dalla Terra verso il pomo (quindi già il tragitto a A a B va a farsi benedire); in pratica il fatto stesso che ancora se ne parli, che influenzi discussioni e, giusto per citarlo, abbia rivoluzionato la fisica e il concetto stesso di universo ci dimostra che in un certo senso la mela stia ancora cadendo e che in un certo senso siamo tutti osservatori che stanno influenzando l'evento, perché noi stessi siamo nel cono delle conseguenze.
Uscendo ora dalla lunghissima digressione, necessaria, nella sua incompletezza, per cercare di dimostrare che non esiste una verità certa, assoluta e misurabile, non può esistere l'osservatore assolutamente neutro né il cronista al di sopra di ogni coinvolgimento, torniamo nel mondo reale in cui la gente mente, si vende e commette errori.
Il linguaggio usato nel descrivere l'evento lo modifica in maniera radicale, concentrando l'attenzione del lettore su una sfaccettatura, piuttosto che su un'altra, fino a stravolgere completamente la questione. Tutto ciò è inevitabile, anche per il cronista più diligente e scrupoloso, perché il suo vissuto, la sua formazione, il momento, lo influenzano inconsciamente spingendolo a dare risalto ad un dettaglio rispetto ad un altro o ad affrontare il tema secondo una certa visione del mondo. Se poi è un pennivendolo prezzolato, come ce ne sono molti...
Serve spirito critico e una buona conoscenza del linguaggio, oltre all'onestà intellettuale di mettere in gioco le proprie convinzioni ed accettare quelle altrui, per rendersi conto di questo. Cogliere nelle tante sfaccettature dei diversi racconti dell'evento dove si celi il fatto e dove si celi la propaganda.
Tutti i giorni siamo bombardati da notizie che creano consenso, rabbia, ammirazione e tutta una gamma di sentimenti che influisce sul nostro modo di percepire l'evento ed è buona norma cercare di andare oltre e capire se la frase, scritta o pronunciata in un dato modo, non nasconda altro che un subdolo sistema per indirizzare la reazione del pubblico, perché le parole sono armi e finché questo concetto non sarà chiaro a tutti, le pecore continueranno a pascolare al buio.
Ricordate che non esistono le bombe d'acqua e che ogni singolo lemma ha una sua forza e attiva meccanismi mentali di cui non ci rendiamo conto, ma influenzano la nostra percezione. Non accettate passivamente parole dagli sconosciuti, ma studiate con cura quel che vi stanno dando, perché potrebbero essere perle o veleno.

Marco Drvso

lunedì 18 marzo 2013

Modi di ragionare

Il parlare quotidiano massacra la lingua, trasformando il senso delle parole. Talvolta vien da pensare che bisognerebbe restituire il valore magico e simbolico delle lettere e del loro uso, affinché non si uccida la lingua. Di esempi se ne possono fare tanti, il mio preferito è il lemma bravo.
Prima di proseguire oltre, vorrei chiarire un punto del mio pensiero: il linguaggio influenza il modo di pensare di una persona e la scelta delle parole, al pari di altri stimoli, influenza il punto di vista e la logica del pensiero. Per non dilungarmi troppo, vi rimando a questi due post: post1 e post2.
Il termine che ha ispirato questo post è crisi (o nella sua forma in disuso crise).
Crisi è una parola che ci accompagna tristemente da anni, il cui significato reale è oscuro alla maggioranza delle persone. Io stesso, quando ne sono venuto a conoscenza, mi sono stupito di aver sempre usato quella parola in maniera scorretta.
Ho sentito dare tante definizioni di tale termine, finché, dopo aver avuto la giusta imboccata, ho preso un vocabolario e mi sono tolto ogni dubbio. Crisi significa scelta-cambiamento. Dal latino crisis, derivato dal greco krisis (decisione), a sua volta derivato dal greco krino (separare-valutare).
Ultimamente si usa solo nel senso di cambiamento-peggioramento che, a quanto ho letto, è nato nel gergo medico, legato al precipitare della malattia. Con un significante così bello e connotato, è un peccato limitarne l'uso ad un solo significato, quando quello etimologico apre interessanti spunti di riflessione. Prendiamo ad esempio i tanti discorsi sull'attuale crisi.
Analizzando i ragionamenti che menti certamente più eccelse della mia e con preparazione più alta diffondono attraverso i media, usando il solo significato di cambiamento in peggio, capisco perché ci abbattiamo. Ragionando su uno senario di disperazione e morte, c'è poco da volersi attivare e sistemare tutto. Se gli stessi articoli fossero letti, attraverso una diversa forma mentis, che nel termine crisi non vede la distruzione, bensì una scelta, ritengo che si innescherebbero meccanismi che indurrebbero il singolo lettore a cercare una soluzione. Le stesse parole passerebbero da spinta alla disperazione a spinta alla ricerca, mirata alla scelta.
Non dimentichiamo che la parola agisce in maniera strana sul nostro quotidiano e andando a pescare nei testi antichi vediamo che la parola è stata a lungo considerata sede di un grande potere, come insegnano la religione e la magia (so che fa strano il fatto che un non religioso, con formazione scientifica, citi spesso fonti religiose o esoteriche, ma a ben vedere sono parole su cui si è costruita la civiltà, quindi il nostro modo di pensare). Facendo un esempio noto a tutti, si può citare la Bibbia, n cui simili ragionamenti compaiono più volte. Si pensi all'ormai proverbiale "in principio era il Verbo", si pensi al nome della divinità che era una parola talmente potente da non poter essere pronunciata, fino ad arrivare a passaggi pregiatissimi che richiederebbero tempo per essere discussi e non è questo il luogo.
Tornando all'argomento principale, prendiamo in esame la frase "la crisi dell'euro", che sentiamo pronunciare o leggiamo più volte al giorno, ed analizziamola nei due possibili significati. Naturalmente è solo un esempio, quindi sarà ovviamente discusso con un certo grado di superficialità.
Normalmente la si usa e si interpreta come "il peggioramento della situazione dell'euro", con tutti i suoi risvolti e allargamenti del ragionamento. Con questa lettura, si innescano dei meccanismi inconsci che ci inducono e discutere la questione come se si parlasse si una malattia, qualcosa di tremendo che non può essere fermato, un destino ineluttabile, qualcosa di paragonabile ad un cancro su un corpo umano (potete dirmi che sto esagerando, ma questo è il tenore delle discussioni che sento). Ragionando in questo modo poco edificante, è ovvio che il senso di scoramento sale e la situazione si deprime sempre di più.
Se invece la frase fosse letta con questo significato "la scelta dell'euro", gli scenari cambiano improvvisamente. In questo caso non siamo davanti al baratro, ma ad un bivio. Un bivio è certamente più stimolante, ci induce a porci domande e diventa una sfida. Se devo scegliere mi documento e valuto le possibilità, ad esempio: mantenere lo status quo, modificare i trattati, mandare a monte l'unione monetaria per salvare quella che diventerà l'unione politica (qui mi schiero io), etc.
In entrambi i casi ho usato il termine crisi, ma dando due diverse connotazioni che attuano diversi meccanismi, creando scenari agli antipodi.
Ho sperimentato tutto ciò sulla mia pellaccia. Che sia un soggetto tendente al depresso è cosa nota, che in questi giorni abbia avuto tante cose per la testa lo dimostrano anche gli ultimi deliranti post, ma è stato proprio questo momento di crisi a farmi riflettere. Passare da crisi (peggioramento) a crisi (scelta) è stato illuminante. Il baratro, a questo punto, non è più l'inevitabile destino, ma una delle possibilità da scegliere, entro i limiti dettati dalle circostanze. Circostanze che possono anche essere difficili, pessime, ottime od oltremodo improbabili (è il 17 marzo e sto guardando la neve che cade fuori della mia finestra). La crisi si trasforma, così, da declino a massima espressione del libero arbitrio.
La parola è un atto creativo e come ogni atto creativo può trasformare il mondo.

Marco Drvso

lunedì 6 agosto 2012

I diritti dell'astronauta della sua clava

6 agosto 2012, su Marte è atterrato il più sofisticato laboratorio scientifico ambulante e automatico, che mente umana abbia mai progettato; lo hanno chiamato Curiosity. Un tempo le chiamavano Mariner, Viking, Voyager, Venera, nomi altisonanti, ma dopo il caro Pathfinder, i nomi delle sonde sono molto peggiorati...  Il vero grande risultato di questa missione è stato far atterrare circa 9 quintali di roba, senza farla fracassare, con un paracadute. I sovietici che erano avanti a tutti, riuscirono a far atterrare Venera4 su Venere (chi si intende un minimo di planetologia, sa che fu una impresa incredibile), ma fallirono con Marte a causa dell'atmosfera fin troppo rarefatta; motivo per cui le precedenti sonde sono atterrate usando un sistema di airbag.
6 agosto 1945, quando quell'imbecille, criminale di Truman ordinava di sganciare la bomba.
Sebbene siano storie apparentemente lontane, questi due fatti sono accomunati da un percorso unico, iniziato tra l'Italia, la Germania, gli USA e quella che fu l'URSS, grazie al lavoro di gente geniale di cui ricorderò, per brevità: Fermi, Einstein e Von Braun (giganti che sedevano sulle spalle di altri giganti e videro lontanissimo).
Purtroppo, l'evoluzione tecnico scientifica umana è spesso stata legata a doppio filo con la ricerca in ambito militare, la sola che non ha mai conosciuto tagli, e quando non è partita da usi bellici, si è trovato il modo di applicare l'invenzione o la scoperta allo scopo di uccidere.
La storia della bomba e dei voli spaziali è stata per molto tempo una sola. Mentre Von Braun progettava i suoi razzi, in Germania e negli USA si cercava di imbrigliare la forza dell'atomo per produrre un'arma. Tutto il progetto Manhattan era finalizzato a questo. Alcune delle menti più eccelse del XX secolo, riunite per ottenere una delle più grandi scoperte della storia umana, al fine di uccidere. La ricerca atomica era finalizzata fin da subito alla bomba; l'energia e la ricerca medica furono collaterali.
Gli americani pensavano di usare gli aerei (come hanno fatto) e i tedeschi puntavano al missile nucleare. Sebbene fossero indietro sul nucleare, anche a causa dell'idiozia di certi gerarchi che consideravano la relatività una teoria "anti tedesca" (cui aggiungiamo le leggi razziali che provocarono la fuga di Einstein e di Fermi, la cui moglie era ebrea), erano ad un passo dalla V4, quella che sarebbe diventata il razzo Jupiter. Erano ad un passo dal missile nucleare, infatti si tramanda la leggendaria frase di Hitler "Dio mi perdoni gli ultimi 10 minuti di guerra".
Finita la guerra, russi e americani si spartirono gli scienziati nazisti (quel nazista di Von Braun fu messo a capo della NASA) ed iniziò la gara a chi aveva il missile più grosso. Tutta l'epopea spaziale fu una gara al missile balistico con la maggior gittata, con risvolti talvolta drammatici e talvolta comici, che hanno anche fatto progredire la ricerca. Emblematico è il caso della scoperta dei gamma ray burst. In sintesi: ogni esplosione nucleare libera raggi gamma, per questo i satelliti erano tarati per identificare tali radiazioni. Sapendo che i sovietici avevano ottimi missili, gli americani temevano che facessero gli esperimenti sulla Luna, quindi dotarono i satelliti di rilevatori puntati verso lo spazio e scoprirono questo interessante fenomeno.
In oltre mezzo secolo l'umanità ha fatto passi da gigante sotto tutti i punti di vista, peccato che i punti di vista non siano sempre positivi. Restiamo trogloditi con l'atomica o astronauti con la clava e nulla più, come la cronaca ci dimostra ogni giorno.
Il nostro mondo è in mano a folli affaristi e tutti noi paghiamo lo scotto della loro brama di potere, grazie a politici compiacenti o incapaci. La parola pace ha perso il suo significato, diventando sinonimo di scusa per fare la guerra (come prima lo sono state democrazia, libertà e civiltà). Etc, etc, etc.
Quel che più mi sta dando da pensare è il continuo parlare di diritti di un dato gruppo etnico, religioso, sessuale, politico, etc; discorsi che dimostrano l'infimo livello di evoluzione sociale che abbiamo raggiunto. Saremo civili quando si parlerà di diritti delle persone. Diritti universali ed inviolabili, uguali per tutti. Porto qualche esempio. Perché parlare di diritto del disabile di veder abbattute le barriere architettoniche e non del diritto di ogni persona ad accedere ad un luogo pubblico? Perché interrogarsi sul diritto a sposarsi per le coppie omo, anziché parlare del diritto di ogni persona a sposarsi con chi gli pare? Perché parlare di diritti delle donne ad accedere a determinati posti di lavoro o stipendi, anziché parlare del diritto delle persone a raggiungere il massimo livello che la sua capacità e la sua preparazione permette, con stipendio commensurato al livello? Ognuno con le proprie peculiarità, siamo tutti appartenenti alla stessa specie e trovo assurdo che si facciano differenze, soprattutto quando si parla di diritti, creando paradossali situazioni di discriminazione e razzismo da parte di chi lotta per le uguaglianze. Ascoltate bene certi discorsi, magari nei dibattiti pubblici, e capirete cosa intendo.
Siamo tutti persone: parliamo di diritti universali delle persone e smettiamo di fare categorie. Smettiamo di cercare le differenze e concentriamoci sulle similitudini, magari potremmo iniziare un mondo migliore, in cui i risultati della ricerca possano essere a beneficio di tutti. Quando sapremo riconoscerci come parti del Tutto, inizierà la vera avventura umana e il passato sarà ricordato come i tempi della follia.
Ora pensate a quali tecnologie impensabili sono allo studio o in qualche magazzino segreto e chiedetevi chi le sta sviluppando e perché. Pensate a quel che dimostriamo di essere (collettivamente),  all'infimo livello sociale che abbiamo raggiunto, al continuo dilagare di fanatismi di vario ordine e genere e alla propensione al cannibalismo e alla mutua distruzione che stiamo dimostrando. Pensateci bene, appena svegli se volete cambiare il mondo e a fine giornata, prima di dormire, pensateci bene prima di prendere sonno.
Se riuscite a dormire: sogni d'oro.

Marco Drvso

domenica 13 maggio 2012

Ridatemi il cielo

Esiste una forma di inquinamento cui pochi prestano attenzione: l'inquinamento luminoso.
So che esistono argomenti ben più importanti di cui discutere di questi tempi, ma non penso di avere altro da aggiungere a quanto detto da altri, quindi mi limiterò alle stelle.
Fin da piccolo ho piacere a guardare il cielo notturno. Rapito dalla moltitudine di fiammelle colorate che bucano un velo nero, iniziai a fantasticare cercando forme e stelle cadenti, poi venne il turno dei miti classici e delle costellazione e, infine, un certo interesse per la fisica e le questioni del mondo che mi portò a geologia ("come è sopra, così è sotto", recitava il saggio).
La Luna passò da cosa luminosa di forma variabile a compagna di viaggio, indicatore di tempo, volto triste e sorridente a seconda del mio umore. Una farfalla diventò una clessidra, poi un guerriero posto agli antipodi di un ventaglio che divenne uno scorpione. Il guerriero levava lo scudo verso un toro e indicava due gemelli con la sua clava. Un carro che, una volta uniti gli altri puntini, diventava una grande orsa (nota: il Grande Carro è solo parte della Grande Orsa, per l'esattezza il bacino e la coda). A quelle storie antichissime, scritte sul più bel libro possibile, si aggiunsero i nomi arabi delle stelle e un nuovo modo di guardarle che coniuga antichi saperi e lezioni di vita. Insomma: magnificenza su magnificenza.
Come raccontavo ai ragazzini al museo, nella sezione astronomia (visita che sempre partiva dagli orologi, passava dagli strumenti musicali e poi si andava a vedere i telescopi), tutto iniziò quando delle persone curiose alzarono la testa al cielo e si posero delle domande. Vi invito a cercare nella storia delle scienze, delle religioni e della tecnica e troverete le prove di quanto dico.
Questa sera ero in giardino con il mio cane e cercavo di guardare il cielo. Speravo di osservare Marte che scivola sotto il Leone, con il suo inconfondibile color sangue, ma ciò che ho visto era solo una parvenza di leone, con un bollino rosso ai suo piedi. Pensare che quando venni ad abitare qui, ero felicissimo perché la via era buia e potevo usare il telescopio. Purtroppo le luci della città sono aumentate e quell'imbecille del mio vicino ha montato un faretto potentissimo sulla sua finestra. Faretto che dovrebbe servire per illuminare la sua proprietà ed evitare furti, ma è puntato male ed illumina camera mia e il cielo (non c'è rimedio alla pirlaggine).
Le nostre città sono troppo luminose e producono un forte inquinamento luminoso che uccide il cielo.
Giustamente, mi si dirà che serve per renderle più sicure e consentire alle persone di girare in sicurezza, anche la sera. Concordo con tale obiezione, però larga parte di quella luce, quindi della corrente usata per generarla, è sprecata, perché illumina male. Trascurando quelle vaccate di lampioni che sparano la luce in alto, facendola riflettere da pannelli bianchi che sono inutili, oltre che brutti (in certi casi la moderna architettura e il design sarebbero da annoverare nei reati gravi) e prendete in esame i normali lampioni: lampade che disperdono luce, a poca distanza l'uno dall'altro.
Sarebbe sufficiente farne funzionare la metà, dopo una certa ora, per garantire una buona illuminazione. In sintesi: i lampioni sono, generalmente, posti ai due lati della strada, ad intervalli di 25m. Due file simmetriche che potrebbero funzionare in modo alternato (acceso a destra e spento a sinistra, dopo 25m spento a desta e acceso a sinistra e via discorrendo). Si potrebbero ottimizzare con coni riflettenti intorno alla lampadina, in modo da convogliare tutta la luce verso il basso, migliorandone l'efficienza, senza usare lampade ad alto voltaggio che illuminano anche dove non serve. Scelte utili dal punto di vista economico e ambientale, per il risparmio di risorse, e per il piacere di riscoprire le stelle.
Oltre a migliorare il colpo d'occhio sul cielo e far felici tanti dilettanti del cielo, come il sottoscritto, potrebbe essere di giovamento a tante persone che potrebbero confrontarsi con l'immensità e riscoprire storie antiche il cui valore non è andato perso. Dal fortissimo affetto di due fratelli, uno mortale e l'altro immortale, che non vollero lasciarsi, alla giustizia che fugge da questo mondo e porta con sé una spiga, ai danni fatti dalla lussuria di Zeus (di cui i gemelli sono uno dei frutti) che unita alla gelosia di Era obbliga Arturo a inseguire sua madre, tramutata in orso, le lotte di Ercole, sono per parlare dei miti classici. Ogni cultura ha dato nomi diversi alle stesse stelle ed ha tracciato proprie storie, unendo i puntini in cielo, alcune sono meravigliose e talmente antiche da far sembrare nuova l'Epopea di Gilgamesh.
C'è così tanta bellezza e saggezza tra quei fuochi colorati, che è un crimine: averli coperti con le lampadine.


Marco Drvso

lunedì 30 aprile 2012

Storie di altri tempi e altri mondi 2

La storia è la grande maestra, peccato che i popoli siano pessimi allievi dalla memoria corta.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a scontri accesi tra diverse fazioni. Scontri di pessimo gusto e basso valore, considerato come sono stati condotti. Si è assistito a insulti e recriminazioni adatte ad una disputa tra bambini idioti, peccato che gli attori della scena dovrebbero personalità di primo livello.
A tal proposito, mi sono venute in mente due storie. Una parla di nemici e l'altra di avversari.
Quando si parla di grandi nemici, la storia è colma di magnifici racconti. Io ho scelto la vicenda di Gaio Giulio Cesare e Gneo Pompeo Magno. Tra i due non scorse mai buon sangue, neanche al tempo del triumvirato, malgrado la parentela acquisita tramite il matrimonio tra Pompeo e Giulia, la figlia di Cesare. Era inevitabile che i due non andassero d'accordo: rappresentavano mondi totalmente diversi e difficilmente conciliabili, a partire dalla scelta di campo. Cesare era nipote di Mario e Pompeo era legato a Silla.
Collante di questa strana coppia, finché il triumvirato ha funzionato, erano Giulia e Marco Licinio Crasso. 
Crasso, nonostante fosse amico di Cesare, aveva grossi interessi comuni con Pompeo. Possedeva una grande influenza politica e grandissime ricchezze (come ricordato anche da Lutero, paragonando le ricchezze papali). Per sfortuna sua, Surena non era Spartaco e il suo esercito non era composto da sbandati. Carre fu la Teutoburgo orientale e segnò il destino di Roma (si ritiene che grazie a quella sconfitta e la fuga dei legionari, si ebbero i primi contatti tra Roma e la Cina).
Alla morte di Crasso seguì quella di Giulia (a quei tempi, il parto era questione pericolosa, sia per la puerpera, sia per il nascituro). Tolti gli unici collanti, accadde l'inevitabile e scoppiò la guerra tra Cesare e Pompeo. I due non risparmiarono nulla all'altro, ma seppero sempre rispettarsi. Fu una guerra lunga e sanguinosa che si concluse a Pelusium, si dice per mano di Potino, servo di re Tolomeo.
Quando Potino diede a Cesare la testa di Pompeo e il suo anello patrizio, si assistette ad una delle più belle dimostrazioni di affetto da parte di due nemici. Plutarco racconta che Cesare pianse lacrime amare e fece uccidere Potino. Poco dopo, Tolomeo fu deposto, in favore di sua sorella Cleopatra. Cesare non perdonò mai gli assassini di Pompeo.
A dimostrazione del rispetto verso il suo nemico, pretese che il senato lo divinizzasse e gli tributasse una statua nell'assemblea. Ironia della sorte: Cesare morì davanti a quella statua, vittima a sua volta di un complotto.
Si odiavano, si scontrarono, ma mai venne meno il rispetto reciproco.
Storia più particolare e meno conosciuta ai più, fu la rivalità condita di amicizia e stima reciproca, tra Riccardo Cuor di Leone e Saladino (mi scuserete se uso i nomi italianizzati), ai tempi della terza crociata. A scartabellare i testi di storia, ci si rende conto che, pur essendo rivali per la conquista di Gerusalemme e dei territori limitrofi (area strategica per i commerci e il controllo del Mediterraneo; la storia della terra santa era l'ennesima boiata per imbonire i popoli), furono grandi amici.
Non mi risulta che si conobbero personalmente, ma so che furono frequenti gli scambi epistolari e di doni. Si racconta che quando Riccardo si ammalò, Saladino gli invio i suoi medici, con una ricca scorta di farmaci, frutta e verdura. Non so esattamente cosa vi fosse in quei carteggi, ma posso ipotizzare uno scambio reciproco di conoscenze, tra un re europeo (era re d'Inghilterra, ma di fatto era francese) molto colto e un coltissimo sovrano arabo, nonché uno dei più grandi strateghi della storia: un carteggio che sarebbe un piacere leggere.
Nonostante il fato li avesse resi avversari, non venne mai meno la stima reciproca e, molto probabilmente, in altre situazioni sarebbero stati ottimi amici e forse alleati.
I primi erano nemici, i secondi erano antagonisti, in entrambi i casi si parla di persone eccezionali, con i loro molti e noti difetti (non sono qui a scrivere una agiografia e so benissimo quanto fossero stronzi, umanamente parlando), che conoscevano come si sta al mondo. Personaggi che sono stati mitizzati dalla storia e dalla letteratura e che possono ancora insegnare molto. Certamente, possono insegnare come va condotto uno scontro.

La loro lezione è che tra antagonisti deve esserci sempre rispetto reciproco. Lezione che oggi pare essere stata totalmente dimenticata.
Oggi, è sufficiente approcciarsi all'informazione per vedere persone che si insultano e si comportano in maniera disdicevole, confermando l'idea che il mondo è ricaduto nella barbarie. Urlano, sbraitano, non si ascoltano e, talvolta, arrivano alle mani, come ci si aspetterebbe da l'ultimo dei barbari, non da persone che dovrebbero essere i campioni del nostro vivere civile.

Marco Drvso

giovedì 26 aprile 2012

Storie di altri tempi e altri mondi

Sto seguendo con attenzione il lento sgretolarsi di quella che poteva essere una buona idea, ma purtroppo è stata messa in mano alle persone sbagliate e fatta crescere con principi folli. Mi riferisco, ovviamente, alla Unione Europea.
Nel leggere di queste vicende, non posso evitare di riflettere su altre storie, avvenute in tempi passati e in quelli che potremmo definire altri mondi, per le molte differenze socio-culturali, scientifiche, morali, etc. Unico filo comune di tutte le vicende è la natura umana. Cambiano i tempi e i luoghi, ma l'essere umano è sempre uguale a se stesso.
La storia ci insegna che gli ideali che spingono le persone sono diversi e, in maniera tremendamente semplicistica, si possono dividere in 3 categorie: quelli che volgono lo sguardo al proprio orto, quelli volgono lo sguardo alla terra e quelli che lo volgono al cielo. Ovvero: chi pensa a sé, chi pensa al mondo che lo circonda e chi punta al proprio grande obiettivo. Ognuna delle categorie contiene persone giuste ed emeriti delinquenti, in base a come hanno scelto di spendere il proprio transito terreno.
Una storia interessante, ambientata nel periodo Kofun (periodo dei grandi tumuli, così ricordato per i colossali tumuli funebri, dell'era Yamato), ci è tramandata dagli antichi testi giapponesi.
Si narra del semi-leggendario Ōjin Tennō 応神天皇 (le fonti storiografiche si basano sugli antichi testi giapponesi, viziati da una sana dose di agiografia e mitologia), valente militare, accorto uomo politico e attento studioso. Si narra che fu concepito, praticamente, sul campo di battaglia, durante uno dei tanti tentativi di invadere la Corea e partorito in Giappone, quando la madre rientrò in patria. Ōjin Tennō era un uomo che guardava la cielo.
Grande combattente, si occupò anche di diffondere la cultura cinese a corte e si prodigò nell'organizzazione dello stato. Aveva un obiettivo e puntava alla grandezza del regno di Yamato.
Di lui si parla come di un grande uomo che seppe ben governare e fu il primo servitore dello stato. Alla sua morte fu divinizzato e, tutt'ora, è una della divinità più importanti del pantheon shintoista: Hachiman 八幡神 (che non è il nome di un supereroe), il kami della guerra, protettore del Giappone, dei contadini, dei pescatori e nume tutelare della famiglia Minamoto.
Più interessante, però, è la vicenda di suo figlio e successore: Nintoku Tennō 仁徳天皇.
Il mito narra che un giorno, dopo alcuni anni di regno, si recò su una collina ad ammirare il suo regno e quel che vide non gli piacque: dai camini non usciva fumo. Le spese sostenute per la costruzione della nuova capitale (era usanza cambiare capitale ad ogni nuovo imperatore), quelle sostenute dal padre per riorganizzare l'esercito, costruire templi, etc, e la carestia (sfiga su sfiga), avevano affamato il suo popolo.
Nintoku Tennō, al contrario del padre, guardava alla terra.
Ordinò che non venissero più riscosse le tasse, né si impegnassero i contadini nella corvée a palazzo, finché i camini non avessero ricominciato a sbuffare il fumo. Non fu il classico editto di facciata, per guadagnarsi l'amore della gente; non gli serviva. L'imperatore, oltre che divino, è il simbolo del paese: motivo per cui la dinastia è arrivata "intatta" ad oggi.
Lasciò che il palazzo imperiale e i templi andassero in decadenza, soffrendo in prima persona gli stenti del suo popolo. Si narra di tetti sfondati dalla neve e intere ali abbandonate all'incuria e all'umidità, per risparmiare sui costi di gestione del palazzo. Solo quando i camini tornarono a fumare, riportò la situazione alla normalità, chiedendo le giuste tasse (senza chiedere gli arretrati!), fece riparare il palazzo e i templi e riattivò l'esercito.
Alla sua morte, gli fu costruito il più grande Kofun della storia, a Sakai, di cui vi linko l'immagine da wikipedia. Per la cronaca: è la più vasta opera funeraria della storia umana, più grande della Grande Piramide.
Uno guardava al cielo, aveva una idea; purtroppo non ha guardato su cosa camminava. Ho idea che quella grave carestia sia stata la vera causa dello spegnimento dei camini (si parla di un paese assolutamente rurale). La mancanza di scorte, per le cause di cui sopra, è stata solo una aggravante.
L'altro guardava alla terra, ma se non si fosse trovato su un arcipelago protetto dal kamikaze, la sua buona volontà avrebbe provocato la fine del suo regno, a favore di un qualche invasore straniero.
In entrambi i casi si parla di persone in buona fede che perseguivano un'idea, per il bene collettivo e per questo vanno rispettate, anche se non si condividesse il loro pensiero.
La soluzione di Nintoku Tennō non è certamente applicabile alla situazione attuale. Sono troppe le differenze tra un regno antico e una moderna repubblica, ma potrebbe essere un buon insegnamento per quegli ingordi che potrebbero rinunciare a mangiare, per salvare tutta la baracca.
Il problema attuale è la gente che guarda al proprio orto. Finché lo si fa come il Candido di Voltaire, ovvero curarsi dei propri affari, senza danneggiare il prossimo, cercando una certa serenità, può essere uno stile di vita assolutamente rispettabile e auspicabile. Il problema è che siamo in mano a gente che cura il proprio orto, a danno di quelli altrui.
Chi comanda l'eurobaracca è un insieme di ingordi e di ottusi che per aumentare il proprio potere o per non dover ammettere che il paradigma su cui basa il proprio pensiero altro non è che follia, ci sta conducendo nel baratro. Se almeno lo facessero mossi da un ideale, li si potrebbe contestare con il rispetto dovuto a chi ha una idea (per quanto folle) e la persegue, ma per quel che vedo: è solo pancia e paraocchi...


Marco Drvso

domenica 25 dicembre 2011

Del Sole imbattuto

Questa notte si concludono i 3 giorni che gli antichi identificarono con la morte e la rinascita del Sole. Il solstizio è tra il 21 e il 22 (si sa che la Terra non è molto precisa nei suoi spostamenti) e intorno al 24 (che per la cronaca è San Druso) ricomincia il suo cammino, che lo porterà all'apice del solstizio estivo.
Per restare nella facezia, prima di discorsi un pochino più seri, Natale e il mio compleanno cadono sempre nello stesso giorno della settimana (ad esempio quest'anno il 28/08 era domenica). Non ha alcuna attinenza con il post, ma la cazzata iniziale è sempre un piacere da scrivere.
Secondo le antiche mitologie, il Sole affronta la lotta con le tenebre e ne esce vincitore, riportando luce al mondo, da cui il nome della festività latina: Sol Invictus. Muore e risorge vincitore; ricorda nessuno?
Tra i nati in questo giorno si ricorda: Osiride (in altre versioni suo figlio Horus; entrambi hanno miti legati al Sole e alla rinascita; la storia di Horus narrata in molti documentari è un mito recente, su cui gli egittologi non concordano), Mitra, Krishna, Eliogabal, Helios e una lunga lista di divinità più o meno famose e Isaac Newton. Quasi tutte hanno combattuto le tenebre e sono tornate vincitrici dal mondo dei morti. Unico caso a me noto di divinità solare in cui l'oscurità non è stata cagionata da una lotta è quello di Amaterasu: si chiuse nella grotta per protesta verso le azioni "immorali" del fratello e ne fu tratta fuori dagli altri Dei, con uno stratagemma comico (era una figa di legno all'ennesima potenza). È un mito spassosissimo che vi consiglio di leggere.
Sulla reale data di nascita di Gesù non concordano neanche i cristiani (la chiesa d'oriente festeggia il Natale il 6 gennaio) ed è ormai accertato che la natività cristiana sia stata sovrapposta, per vari motivi, alla festa pagana del Sole, rendendo Cristo una divinità solare. 12 apostoli e l'aureola a forma di croce celtica parlano chiarissimo. Considerato che nei vangeli si accenna alla transumanza e alla vendemmia, vien da pensare che il figlio della vergine fosse una questione astrologica. Il cammino del Sole è simboleggiato da un cerchio, diviso in 4 quadranti in corrispondenza dei 2 equinozi e dei 2 solstizi, a loro volta suddivisi in 3 spicchi, per un totale di 12 (vi sembra un orologio?...). Avrebbe avuto più senso unire il Sol Invictus con la Pasqua, ma nei vangeli ci sono chiarissimi riferimenti al periodo della Pesach (o Pasqua ebraica)...
Vi fu un tempo in cui uomini curiosi osservarono il cielo e la terra e si posero domande. Uomini curiosi che non avevano le basi necessarie per distinguere il naturale dal fantastico, quindi non furono scienziati ma sacerdoti. Malgrado tutto, compresero molte dinamiche del mondo e le applicarono.
Compresero che il moto  apparente del Sole e reale della Luna avevano ripercussioni sulla vita e studiarono attentamente tali moti; fermo restando quanto sopra. L'apparizione di Sirio prima della piena del Nilo, i 28 giorni del mese lunare che coincidevano con le maree e il ciclo mestruale (non a caso se il Sole è prevalentemente maschile, la Luna è sempre una divinità femminile), etc.
Fecero edificare complessi che indicassero il moto degli astri, per calcolare il tempo, in funzione della semina e del raccolto (vedi Stonehenge, le rose camune) e per spiegare al popolo i moti degli astri e i fatti della natura, inventarono racconti mitologici. Peccato che troppi, tutt'ora, confondano delle allegorie per verità assolute.
Il nuovo Sole sta nascendo, dopo aver sconfitto le sue tenebre, per condurre il mondo alla nuova primavera. Una allegoria meravigliosa che ogni persona di buona volontà dovrebbe far sua.
Felice Sol Invictus a tutti voi

Marco Drvso