Il parlare quotidiano massacra la lingua, trasformando il senso delle parole. Talvolta vien da pensare che bisognerebbe restituire il valore magico e simbolico delle lettere e del loro uso, affinché non si uccida la lingua. Di esempi se ne possono fare tanti, il mio preferito è il lemma bravo.
Prima di proseguire oltre, vorrei chiarire un punto del mio pensiero: il linguaggio influenza il modo di pensare di una persona e la scelta delle parole, al pari di altri stimoli, influenza il punto di vista e la logica del pensiero. Per non dilungarmi troppo, vi rimando a questi due post: post1 e post2.
Il termine che ha ispirato questo post è crisi (o nella sua forma in disuso crise).
Crisi è una parola che ci accompagna tristemente da anni, il cui significato reale è oscuro alla maggioranza delle persone. Io stesso, quando ne sono venuto a conoscenza, mi sono stupito di aver sempre usato quella parola in maniera scorretta.
Ho sentito dare tante definizioni di tale termine, finché, dopo aver avuto la giusta imboccata, ho preso un vocabolario e mi sono tolto ogni dubbio. Crisi significa scelta-cambiamento. Dal latino crisis, derivato dal greco krisis (decisione), a sua volta derivato dal greco krino (separare-valutare).
Ultimamente si usa solo nel senso di cambiamento-peggioramento che, a quanto ho letto, è nato nel gergo medico, legato al precipitare della malattia. Con un significante così bello e connotato, è un peccato limitarne l'uso ad un solo significato, quando quello etimologico apre interessanti spunti di riflessione. Prendiamo ad esempio i tanti discorsi sull'attuale crisi.
Analizzando i ragionamenti che menti certamente più eccelse della mia e con preparazione più alta diffondono attraverso i media, usando il solo significato di cambiamento in peggio, capisco perché ci abbattiamo. Ragionando su uno senario di disperazione e morte, c'è poco da volersi attivare e sistemare tutto. Se gli stessi articoli fossero letti, attraverso una diversa forma mentis, che nel termine crisi non vede la distruzione, bensì una scelta, ritengo che si innescherebbero meccanismi che indurrebbero il singolo lettore a cercare una soluzione. Le stesse parole passerebbero da spinta alla disperazione a spinta alla ricerca, mirata alla scelta.
Non dimentichiamo che la parola agisce in maniera strana sul nostro quotidiano e andando a pescare nei testi antichi vediamo che la parola è stata a lungo considerata sede di un grande potere, come insegnano la religione e la magia (so che fa strano il fatto che un non religioso, con formazione scientifica, citi spesso fonti religiose o esoteriche, ma a ben vedere sono parole su cui si è costruita la civiltà, quindi il nostro modo di pensare). Facendo un esempio noto a tutti, si può citare la Bibbia, n cui simili ragionamenti compaiono più volte. Si pensi all'ormai proverbiale "in principio era il Verbo", si pensi al nome della divinità che era una parola talmente potente da non poter essere pronunciata, fino ad arrivare a passaggi pregiatissimi che richiederebbero tempo per essere discussi e non è questo il luogo.
Tornando all'argomento principale, prendiamo in esame la frase "la crisi dell'euro", che sentiamo pronunciare o leggiamo più volte al giorno, ed analizziamola nei due possibili significati. Naturalmente è solo un esempio, quindi sarà ovviamente discusso con un certo grado di superficialità.
Normalmente la si usa e si interpreta come "il peggioramento della situazione dell'euro", con tutti i suoi risvolti e allargamenti del ragionamento. Con questa lettura, si innescano dei meccanismi inconsci che ci inducono e discutere la questione come se si parlasse si una malattia, qualcosa di tremendo che non può essere fermato, un destino ineluttabile, qualcosa di paragonabile ad un cancro su un corpo umano (potete dirmi che sto esagerando, ma questo è il tenore delle discussioni che sento). Ragionando in questo modo poco edificante, è ovvio che il senso di scoramento sale e la situazione si deprime sempre di più.
Se invece la frase fosse letta con questo significato "la scelta dell'euro", gli scenari cambiano improvvisamente. In questo caso non siamo davanti al baratro, ma ad un bivio. Un bivio è certamente più stimolante, ci induce a porci domande e diventa una sfida. Se devo scegliere mi documento e valuto le possibilità, ad esempio: mantenere lo status quo, modificare i trattati, mandare a monte l'unione monetaria per salvare quella che diventerà l'unione politica (qui mi schiero io), etc.
In entrambi i casi ho usato il termine crisi, ma dando due diverse connotazioni che attuano diversi meccanismi, creando scenari agli antipodi.
Ho sperimentato tutto ciò sulla mia pellaccia. Che sia un soggetto tendente al depresso è cosa nota, che in questi giorni abbia avuto tante cose per la testa lo dimostrano anche gli ultimi deliranti post, ma è stato proprio questo momento di crisi a farmi riflettere. Passare da crisi (peggioramento) a crisi (scelta) è stato illuminante. Il baratro, a questo punto, non è più l'inevitabile destino, ma una delle possibilità da scegliere, entro i limiti dettati dalle circostanze. Circostanze che possono anche essere difficili, pessime, ottime od oltremodo improbabili (è il 17 marzo e sto guardando la neve che cade fuori della mia finestra). La crisi si trasforma, così, da declino a massima espressione del libero arbitrio.
La parola è un atto creativo e come ogni atto creativo può trasformare il mondo.
Marco Drvso
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