mercoledì 24 agosto 2022

Geworfenheit

Con questo neologismo, traducibile con gettatezza, Martin Heidegger descriveva la condizione umana: esseri gettati al mondo, senza uno scopo o una speranza.
Non riesco a comprendere chi immagini l'esistenza di un creatore o di un demiurgo, che pone regole, giudica e dovrebbe salvarci. Trascuriamo il fatto che questo motore immobile sia di fatto la salvezza e la dannazione e il tutto di cui siamo parte...
Io preferisco visioni orientali e presocratiche, di un mondo che semplicemente esiste ed è un unico in evoluzione. Non è un caso se quando osservo la Via Lattea (in greco Galassia), sempre dico: "casa!". Casa, in teoria, dovrebbe essere Gaia, ma essendo l'unione della Terra e della sua bioma, non è casa, è "noi" e il discorso potrebbe espandersi alla Galassia, l'ammasso di galassie, etc.
Come il concetto di essere può travalicare gli spazi cosmici, può anche valicare il tempo (qualcuno obietterà che essendo spazio e tempo dimensioni della stessa cosa, stia esprimendo una ovvietà). Prima di essere in questa forma, la materia e l'energia che ci compongono sono state altro e noi stessi siamo composti da materia ed energia differente da quelle che ci componevano un tempo: innumerevoli frammenti eterni di materia ed energia, coagulati in una forma, che a sua volta persiste al passaggio di quegli eterni, evolvendosi. 
Fin qui la semplice questione dal punto di vista materiale, con un verso temporale.
Oggi pomeriggioo, un amico mi chiama e domanda: "Drv, ma ancora ci pensi?". Si riferiva a fatti del mio passato remoto, che credeva di aver letto sul blog (così ho scoperto che mi leggi, balordo!).
Mi sono trovato a spiegare come nella scrittura io travalichi i limiti del mio tempo, come se le diverse versioni di me scrivessero all'unisono, nel tentativo di sfuggire da quel momento storico in cui sono ferme. Rileggendo con attenzione quanto ho scritto, ho ritrovato più e più situazioni diverse, chiuse in uno o più post, cosa che mi ha piacevolmente incuriosito e spinto alla riflessione. So bene che scrivo di più cose in simultanea, spesso in modo criptico e ambiguo (è il mio stile ed ha un senso: amo dare diversi livelli di lettura, che rispecchino la complessità di questo mondo, un po' per regalare spunti, un po' perché mi diverte, un po' perché serve alla mia riflessione), mischiando. situazioni diverse, nel flusso di coscienza attraverso cui metto a posto le idee, creando descrizioni delle mie passeggiate all'inferno, utili a chi si trova a vivere vicende simili alle mie; questo è lo scopo dei miei messaggi in bottiglia: arrivare un giorno ad almeno una persona e mostrare una possibile via alternativa. Ciò di cui non mi sono reso conto fino ad oggi, è di essere "fisicamente" ancora in quel luogo e in quel tempo e non ero conscio di aver parlato di alcune situazioni, che invece erano palesi. Saperlo a livello di studio è un conto, verificarlo è un altro. Senza entrare in merito a certe riflessioni sul pensiero, che potrebbe trascendere spazio e tempo, mi limito a descrivere il mio ritrovarmi spalmato su momenti diversi, limitandomi alla sola lettura psicanalitica.
La cosa ha aperto una riflessione enorme sui circoli viziosi della vita umana, attraverso le idee di grandi autori che si incastravano tra loro alla perfezione, fino a giungere alla illuminazione di Gautama applicata alla psicanalisi. Posso dire di aver sfiorato qualcosa che trascende persino le quattro nobili verità: l'inutilità del dolore. Gautama ha mostrato la sua indissolubilità dalla condizione umana ed ha mostrato come andare oltre, ma io ho un vantaggio di 2500 anni di filosofia e scienza (Epicuro, Lucrezio, Leopardi, Nietzsche, etc), che ha aggiunto molto e mi ha permesso di rielaborare. Mi domando da quanto mi ronzasse in testa...
Questa sera ho osservato le stelle, dopo aver chiacchierato con più clienti del bar, ascoltando le loro storie, condendo con le mie (il bello di questo mestiere) e ho realizzato come tutto sia solo un frammento infinitesimale di uno spazio tempo di cui ignoriamo se sia un flusso o un susseguirsi di attimi separati, come i fotogrammi di una pellicola. Un infinitesimo nel tutto, che è tutto a sua volta, le cui gioie e patimenti sono nulla, rispetto alla totalità.
Nulla ha così tanto valore da rubare una parte dell'esistenza, perché l'esistenza stessa è solo un essere gettati al mondo senza uno scopo e questo mi dona la quiete e un incredibile senso di libertà. Tolto lo scopo, crolla il castello delle illusioni umane e apre scenari fantastici, in particolare viene meno la singolarità dell'individuo, che diviene parte del tutto, anzi diviene il tutto (purtroppo siamo in un mondo di psicotici, in cui certi concetti elementari non passano e si vedono i risultati).
La prima grande illusione umana è l'unicità, che genera lo scopo e via fino al totale impazzimento. Nella comprensione dell'essere il tutto che si sperimenta in forme effimere c'è la sola salvezza e la fine del conflitto e, come sempre, si finisce ad Eraclito e Lao Tzi: il divenire e l'equilibrio degli opposti. Tutto il resto è un istante dell'eternità.
Solo la leggerezza di una foglia gettata al vento salverà il mondo.

Marco Drvso

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