mercoledì 27 giugno 2007

Adesso

Su cosa sia il presente si sono interrogati in molti, personalmente credo sia un qualcosa, un attimo, che tende miserabilmente a zero, schiacciato tra l'insondabile infinito passato e lo sconosciuto infinito futuro (ammesso che il tempo esista). Fregatura di quella cosa infinitesima detta presente, è la sua infinita importanza.
Quante volte si spreca quell'istante, con frasi tipo: faccio dopo? Dopo quando?

A furia di rimandare ho perso qualcosa. Nulla che non sia riacciuffabile, con fatica.
Più si suda da piccoli, meno si farà fatica da grandi; non lo sapevo e non ho fatto un cazzo fino ad oggi.... giorno in cui mi sono reso conto che è giunto il fatidico momento di darsi da fare.
Guardavo un mio amico che sta per partire per l'altro emisfero e mi sono chiesto: voglio restare a fetere a Milano tutta la vita?
Un tempo avrei detto: da domani si comincia! Non è più quel tempo. Ho perso troppo, rimandando a domani. Non sono rimpianti, fa tutto parte del mio cammino che poteva essere diverso (non peggiore o migliore, solo diverso).
C'è un tempo per correre, uno per riposare, uno per pensare, uno per produrre, c'è un tempo per tutto, basta non perderlo.

Quant'è bella giovinezza
Che ti sfugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia:
Di doman ono v'è certezza.
Scriveva Lorenzo De' Medici....

Marco

Ps
Sto scoprendo, con gioia, che molti insospettabili leggono (ma non commentano) queste mie pagine. Mi fa molto piacere, perché so di avere un, se pur piccolo, pubblico di qualità di cui vantarmi!
GRAZIE A TUTTE/I!!!

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Confesso di essere intrigato all'idea di scrivere un commento, seppur fuori contesto, a un "post" (mah!) qoheletiano. Dopo lunga assenza congressuale nella patria materna (posso coniare la "matria"?) mi rammento di aggiornarmi sulla tua evoluzione (la quale richiede il tempo, ça va sans dire) encefalica (necessitante forse un opportuno sistema di riferimento teorico) e - quanti incisi ho già usato? - mi ritrovo additato a modello di anti-tabagista rino-dotato istigante alla viziotanasia. Quanto basta per l'autoinclinazione alla vanità. Chiudendo il ciclo. Havel havalim! Per gli indoeuropei: vanitas vanitatum.

Drvso ha detto...

Lieto di leggere commenti del più dotto tra i lettori affezionati! Volentieri mi presto ad un'analisi encefalico-psichiatrica(organizziamoci via posta...).

Per i non praticanti dell'Antico Testamento: Qohelet (קֹהֶלֶת) altro non è che il nome ebraico delle Ecclesiaste ;-)

Anonimo ha detto...

Salvete! Noi si ringrazia per l'immeritato dotto, il quale era anche il più pingue dei nani (sulle spalle dei giganti), fatto che mi rammenta l'aumento mio di massa sia inerziale sia gravitazionale, postane l'equivalenza. Si valuta l'ipotesi di moltiplicazione per gemmazione. A parte le facezie, sto leggendo il racconto vampiresco e mi appunterò via via qualche considerazione. Per ora, incipiente la tua ricerca estiva, porgo alla tua attenzione il problema della coerenza storica anche a livello lessicale. E.g. (latinismo recepito volentieri dalla perfida Albione), nella Lutetia prerivoluzionaria i coloniali erano chiamati "yankee"? Ne rammento l'uso durante la loro guerra civile, un secolo dopo. L'origine è supposta essere batava. Di più non so.

PS: Non volermene male e non tacciarmi di indisponente pignoleria ma Ecclesiaste è maschile singolare (trattasi di vir) e non femminile plurale.

Drvso ha detto...

in base alle mie conoscenze, haimé scarse, il termine era un dispregiativo coniato dalle giubbe rosse....
per quanto concerne Ecclesiaste, chiedo miseramente venia, mi sono posto in inganno da solo, cadendo sull'ultima vocale... possano lor signori perdonare questo mio imperdonabile strafalcione