giovedì 12 marzo 2009

Quattro passi all'inferno

La depressione è una brutta bestia che colpisce senza ragione apparente, spogliandoti della forza di vivere, togliendo colore al mondo, annientando la propria autostima. Per la prima volta, ne posso parlare come osservatore, non come soggetto d'osservazione e ciò che ho visto mi ha colpito nel profondo.
Parlavo con una persona a me molto cara e nei suoi occhi ho rivisto la non luce che opacizzava i miei fino a pochi mesi fa. Il suo stringersi il braccio per salvarsi dal freddo che vien da dentro, l'incedere raggomitolato, la maschera di rabbia che nasconde la tristezza, erano dei tremendi deja . Anche i discorsi che le ho strappato, a fatica, avevano il sapore del malessere interiore.
Li, davanti a me, non avevo la persona forte che conosco, piuttosto una cucciola smarrita che vede crollare il proprio mondo. La guardavo e vedevo me; quel Druso che mi sembra così lontano nel tempo, chiuso nei suoi pensieri e nella sua insensata tristezza, incapace di esprimersi al mondo.
E così, senza pensare, le ho detto quel che penso di lei, cercando di ricordarle il suo valore e la sua magnificenza: quella di una persona meravigliosa che si è scordata di esserlo. In un solo istante abbracciavo lei e abbracciavo il piccolo depresso che tanto aveva cercato un po' di calore, senza riuscire a chiederlo; capace solo di respingere le persone che glie ne offrivano.
Mentre la stringevo forte, parlandole, mi sono reso conto della sua voce soffocata e di piccoli impercettibili movimenti. Quando ho visto bagnarsi quei dolci occhi, non ho potuto fare altro che stringerla a me, ancor più forte. Avrei voluto cancellare il mondo per darle un momento di quiete e tenerla con me finché non si fosse sentita meglio.
Per un istante mi sono sentito un verme, pensando alle congetture negative che avevo fatto su di lei. Avevo pensato male, ma non ero stato capace di insultarla, neanche con terzi o qui (a questo punto, avrai capito di chi parlo). In una frazione di secondo ho compreso un sacco di cose e ho, finalmente, compreso situazioni accadute tanti anni fa, quando io ero dall'altra parte.
Non erano occhi acquosi, ma lucidi. Conservavano ancora tutta la forza e la dignità che niente può scalfire. Talmente dignitosi da trattenere l'emozione per non mostrare ulteriore fragilità. Per permetterle di lasciarsi andare, ho fato in modo che poggiasse la testa sulla mia spalla, in modo che la mia testa la coprisse da altri sguardi ed io stesso non potessi vederla.
Nel tentativo di tirarle su il morale, è giunta in aiuto, inatteso e involontario (perché non sapeva cosa stesse accadendo) una nostra amica. A quel punto ho preso la palla al balzo e ho fatto il pagliaccio, giusto per ridere un po'. Direi che ha funzionato.
Una volta di più ho capito perché amo tanto il lavoro al museo. Come scrissi tempo fa, sono un creatore e spacciatore di sorrisi: la cosa più bella e gratificante del mondo.
Solo chi ha sperimentato il viaggio nell'inferno interiore può capire chi vi è dentro. A fatica può scorgere ciò che non vedeva, ma una volta identificato, DEVE mobilitarsi per mostrare una possibile via d'uscita, perché sa quanto sia orribile viverlo e quanto sia grandioso uscirne.

Marco Drvso

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