martedì 15 settembre 2009

Ateismo e trascendenza

Un minimo di spiritualismo è insito, credo, in tutti noi.
Anche i sassi sanno che non credo assolutamente nel dio creatore, né ne demiurgo che plasma il mondo. Le ragioni sono varie, prima tra tutte: questo mondo e noi stessi siamo progettati così male da rendere impossibile il disegno intelligente. Questa mia convinzione, unita a tante altre, ha reso difficile, fin da subito, il mio rapporto con il cristianesimo e gli altri monoteismi (che, a voler ben guardare, sono tutte variazioni su un solo tema).
In particolare, mi ha sempre infastidito l'idea di un dio che ci guarda e giudica dall'alto, senza avere la decenza di palesarsi. Una divinità dal carattere altalenante che oscilla tra l'amore infinito del buon padre, capace di creare un giardino di delizie per i propri figli, per poi scadere in un dio collerico capace di nefandezze tali da far impallidire il peggiore tra i mortali. Vi risparmio l'elenco, perché pescando tra i fatti storici e quelli biblici c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Con questo, non ho intenzione di insultare ebraismo, cristianesimo o islam. È solo una piccola parte dei motivi che mi hanno spinto a cercare altrove il senso della vita. Riconosco nei rispettivi testi sacri (al contrario di molti fedeli, io mi sono preso la briga di leggerli, prima di criticare) molte cose giuste su cui meditare, insegnamenti etici e morali di altissimo valore che, però, non ho trovato sufficienti a spingermi ad aderire a un culto o a un altro.
Sono uno scienziato e sovente mi comporto con Tommaso: ho bisogno di prove, prima di accettare una qualunque idea, salvo rari casi.
Nel mio girovagare tra filosofie e religioni (queste ultime, le ho spesso considerate filosofie o esempi di cultura locale, modi di vedere il mondo), ho approcciato gli ellenisti, i grandi filosofi moderni, i filosofi orientali e, tante volte, fisici e matematici. Per quanto sconvolgente per alcuni, la matematica (e la scienza in generale) offre ampi spazi alla filosofia.
La scienza non cerca subito le ragioni, parte sempre dalla ricerca dei fatti. Talvolta non si pone il problema del perché di certe cose. Un esempio emblematico è l'esistenza dell'universo: per il momento ci si limita a capire come funzione e come è iniziato; perché esiste è un problema secondario.
La scienza mi ha fatto avvicinare alle filosofie orientali. Filosofie nate in un mondo lontanissimo da noi occidentali. Scuole di pensiero che non hanno la fissazione del peccato e del castigo.
Ogni azione è commessa dall'uomo e va ad intaccare il karma, quello che potremmo definire il serbatoio delle cazzate commesse, che sarà pesato sulla bilancia a fine vita. In questo caso, però, non vi è una divinità a reggere la bilancia, ma la coscienza del defunto. Chi non ha saputo liberarsi dal mondo, torna al punto di partenza e si reincarna. In parole semplici: quel che semini raccogli.
Lo scopo ultimo di tali filosofie non è il raggiungimento del perdono divino e della salvezza (su cui potrei dilungarmi a lungo, con disquisizioni riguardo: perdono di che? e salvezza da chi?), bensì il ricongiungersi al tutto, quello che possiamo chiamare, per semplicità, nirvana.
In questa ottica, riconosciuta anche dalla scienza, l'universo è un tutto, di cui noi siamo parte. Non serve un dio esterno e creatore per giustificarlo, bensì una coscienza interna e intima che ci spinga ad accettare questa realtà e metterla in pratica.
Sono culti che si avvicinano alla mia ricerca interiore che non cerca trascendenza, ma consapevolezza. Consapevolezza di me e del mondo che mi circonda. Sono fermamente convinto che, in accordo con la teoria della relatività, il mondo che mi circonda è fuori e dentro di me, perché ne sono il centro relativo.
Sono convinto che la scienza ancora non conosca o non possa spiegare certi fenomeni che potremmo definire "fuori del comune", ma questo non implica la presenza divina. L'energia che ci muove e si traduce in pensiero, emozioni, etc, che comunemente è chiamata anima, non è ancora stata spiegata, ma sicuramente ha un suo perché razionale nell'universo. Credo che tutto l'universo sia permeato dell'energia vitale e che questa interagisca con tutto e tutti. Se poi la si vuol chiamare aura, energia vitale o Genoveffa, per me non fa differenza. Se poi la scienza dimostrerà che ho torto, non mi strapperò i pochi capelli residui.
Non vi è nulla di male, anche per un ateo, nella ricerca del vero e del giusto, almeno a livello relativo. Nel caso del mondo occidentale e mediterraneo, bene e male sono entità assolute in contrasto continuo che potremmo definire l'inizio e la fine del retto cammino. In oriente, invece, questi due enti compongono il tutto e si compenetrano a dimostrazione che non esistono in maniera libera e assoluta: senza il male, il bene non esiste. Il tuto è esemplificato in maniera eccelsa nel simbolo del Tao di Lao Tse, in cui i due principi opposti si muovono nel cerchio, presentando ognuno una piccola porzione dell'altro, nel proprio interno.
Bene e male, ovviamente, era un esemplificazione. Il concetto vale per tutte le forze ritenute, erroneamente, opposte: luce e ombra, maschio e femmina, sistole e diastole etc. Tutti fenomeni che non possono prescindere dal proprio opposto. Esistono e coesistono nel naturale equilibrio cosmico, tanto ben descritto nelle formule fisiche e nelle reazioni chimiche.
La mia ricerca passa attraverso l'unità con l'universo (cosa che si dimostra sempre più complessa, quando si ha a che fare con soggetti umani) e l'edificazione del tempio, usando la mia allegoria massonica preferita. La ricerca interiore è ciò che ho trovato nei templi orientali, in cui mi sono fermato a meditare e pregare. Ho pregato me stesso.
Purtroppo, anche le religioni-filosofie orientali soffrono del male che ha colpito quelle occidentali: elaborazioni successive. Se non fosse stato per personaggi di dubbia morale o eccessivo misticismo, oggi le religioni non sarebbero la cozzaglia di fanatismo che stanno diventando. Nessuno dei grandi pensatori disse mai di creare una congrega potente che gestisca la fede o uccidere.
Akhenaton sosteneva di inchinarsi al Sole e pregare. Buddah vagava seguito dai suoi discepoli e non edificò templi, limitandosi alle 4 nobili verità e all'ottuplice sentiero. Lao Tse, per quanto si sa, scrisse il Tao Te Chin e si ritirò a vita privata. Socrate si prese la sua cicuta e spirò. Confucio parlava di organizzazione statale e morale. Cristo predicava agli umili e molti suoi insegnamenti hanno sapore di oriente, come nella frase dell'apocrifo di Tommaso "il regno dei cieli è dentro e fuori di voi". Come scrisse Giovanni "chi ha orecchie per intendere...".
Potrei citare molti grandi personaggi della storia che, purtroppo, sono stati fraintesi. Quasi tutti dicevano la stessa cosa: non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te. Tutti parlavano di migliorare sé stessi e il mondo che ci circonda, secondo il principio che il mondo non ci è stato donato dai nostri padri, ma prestato dai nostri figli. Questa è la via dell'immortalità: la non distruzione del mondo.
Ho idea che certi concetti legati all'unità dell'universo e alla ruota della vita si siano preservati nel culto orientale, per questioni prettamente ambientali. I monoteisti, da Akhenaton in poi, nascono tutti nel deserto (in principio cielo e terra = deserto), il luogo dove personaggi come Cristo, Mosé, Maometto, hanno trovato il dio unico, vagando nella solitudine. Nel caso dell'oriente, i mistici erano nella foresta o, addirittura, nella jungla: l'ambiente più adatto per riflettere sul divenire, le trasformazioni e l'unione delle cose.
Questo è, a grandi linee, il mio misticismo. Sapere che esisto già nell'infinità dello spazio e del tempo e che in qualche modo esisto da sempre e esisterò sempre, perché sono parte di un tutto, potenzialmente eterno.
È la ricerca di questa consapevolezza che fatica ad afferrare, che mi spinge alla meditazione e alla ricerca interiore: la mistica di un ateo.
Cercare sé stessi e le risposte alle grandi domande, è essere umano.

Marco Drvso

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