giovedì 24 giugno 2010

Triste foto in bianco e nero

Oggi, viaggiando verso nord sulla tangenziale ovest, dall'altra parte ho visto una Alfa Romeo, del cui modello ignoro il nome, ma so collocare storicamente.
Improvvisamente il mondo è passato in bianco e nero, la tangenziale è stata sostituida da uno stretto filo d'asfalto e terra battuta e tutt'intorno suovano quella musicaccia per giovani sfaticati, scritta da Glenn Miller... Un mondo lontanissimo e uguale al nostro. Tecnologicamente era la via di mezzo tra noi e i costruttori di cattedrali, a livello politico ci possiamo discutere le differenze e le somiglianze, ma la gente era sempre la stessa; forse no!
I vecchietti che da giovani saltavano il fosso per la lunga e i giovani che non hanno voglia di fare niente, erano presenti. Il bottegaio che imbosca qualcosa limandolo dalle tasse, quello che "io so tutto", i grandi esperti, i ladri, gli operai, i politici, etc, erano tutti presenti. Il mondo era quello che conosciamo, fatto di storie personali e di tutti gli atteggiamenti naturalmente iscritti nel nostro essere umani. Quello che ci differenzia sono dettagli, tutti legati a quella macchina.
Una fabbrica che diventerà simbolo e vanto di Milano (dopo aver depredato il biscione in tempi non sospetti), nata francese, di proprietà di un immigrato napoletano. Anni in cui queste aziende, sebbene S.p.A., avevano in mente la qualità del prodotto e lavoravano per produrre il miglior prodotto, venderlo e, giustamente, lucrare. Si cercava il modo di risparmiare, però il prodotto era pensato al massimo della qualità (per l'epoca). Il produttore aveva il vanto di dare la vita a un prodotto unico.
Anni in cui un grande produttore di automobili, uno degli inventori dell'auto, Henry Ford, si toglieva il cappello davanti un Alfa Romeo.
Gente competente che vuole fare un buon lavoro, senza pensare ai soli azionisti, che fa un buon lavoro: non sono manager, o puri capitali, ma ingegneri che producono auto. Personaggi che credevano nella vera concorrenza (tranne Rockefeller, ovviamente) e riconsocevano il valore dei concorrenti.
L'altra parte del cielo erano le maestranze che unite lottavano per i propri diritti, sebbene separate ideologicamente al loro interno. Sapevano quale era lo scopo della loro lotta e sapevano quanto importante fosse l'azienda (nessuno avrebbe mai prodotto di merda per metterla "in culo al padrone").
Imprenditori e maestranze divisi dalle classi sociali e dalle ideologie che in comune avevano l'idea del lavorare bene, del produrre e della dignità personale.
Poi ho riaperto gli occhi e mi sono ricordato che cosa sia diventata l'industria, la morale, le maestranze, la dignità, etc, oggi e quasi mi veniva da vomitare.

Marco Drvso

1 commento:

Luca M. ha detto...

Una volta si faceva la guerra al sistema, si combatteva contro il rischio di essere schiacciati da questa mostruosa macchina che è il capitalismo (post)moderno. Oggi, perduta quella battaglia, ci si scanna l'un l'altro, il padrone contro il lavoratore, il possidente contro il posseduto. E' una guerra tra poveri, una guerra senza bottino quella che combattiamo.
E' un tavolo di Risiko che non prevede vincitori, quello attorno a cui ci siamo seduti.