Uno dei miei proverbi preferiti è: "il diavolo è nei dettagli".
Le cose macroscopiche sono visibili agli occhi di tutti, ma l'osservato attento si deve sforzare nel cercare il dettaglio che sveli l'arcano: quel che l'universo vuole dirci
Prima cosa: affinare i sensi, perché solo tramite loro possiamo cogliere il mondo circostante. Si tratta di vedere con le orecchie, toccare con gli occhi, assaporare con il naso. I nostri sensori sono molto più raffinati e versatili di quel che siamo abituati a pensare. La scelta della ricerca e, successivamente, la lettura dei dati raccolti, la loro scrematura e interpretazione va operata con altri strumenti. In primis: l'istinto. Per quanto sia la nostra parte più arcaica e bistrattata, è tra i sensi il più importante, malgrado sia il sesto. Lui è la base del funzionamento di tutta la baracca, una sorta di sistema operativo autonomo che aggira (odio il termine bypassa) tutte le altre funzioni, lavorando per la nostra incolumità. È lui che ha permesso ai nostri antenati di sopravvivere alle pozze e agli oceani del cambriano e farli evolvere fino a noi. Un sistema ben collaudato, anche se fallace, che coglie per primo i dettagli.
Attivato l'istinto, se ancora non è stato fatto, va acceso il cervello, che dovrebbe sempre essere acceso... il cuore (che sta a metà strada tra l'istinto e la ragione), l'intelletto e le conoscenze servono alle operazioni di scrematura e analisi di cui sopra.
Essenziale è l'uso della logica: la sola che ci permette di vedere i fatti, superando la ragione. La logica è il solo strumento della vera analisi, scevra dai condizionamenti del vissuto, del conosciuto e, soprattutto, del pensato. Questo è il passaggio più duro, in una ricerca, perché la ragione lotta contro la logica.
La ragione è qualcosa che si camuffa da lucido e imparziale raziocinio e per questo è stata venerata dai miei grandi maestri illuministi, ma non è quel che finge di essere. La ragione ha un suo cuore, sue convinzioni e sue chimere. Lotta contro l'istinto e ignora la logica, perché si sente nel giusto, nel suo ragionare. È quella forza che, se ben usata, permette di abbattere montagne, ma spesso crea barriere insormontabili per l'Io. Non vuole sentire ragioni che non siano le sue e trova altre strade per garantire la correttezza della sua idea, a scapito dei fatti e della loro interpretazione reale. Se ne frega del famoso detto di Sir Conan Doyle "Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità", perché non vede altro che la sua verità ed ha condotto persone brillantissime ad errori epici, come nel caso di Einstein: quando rivide le sue teorie, perché incompatibili con la propria ragione del mondo. Le espressioni "avere ragione" e "farsi una ragione" riassumono in pochissime e auree parole, quanto scritto in questo paragrafo.
Ma, fin qui, sono state solo etichette per descrivere le mille sfaccettature dell'animo umano. Stomaco, cuore e cervello non sono autonomi e tanto meno uniformi nella loro singolarità. Tutti e tre sono affetti dal dualismo della natura umana che, per comodità, riassumerò in brama e autoconservazione; entrambi, a modo loro, proiettati alla ricerca della giusta soluzione (ammesso che esista).
Quando l'oggetto di analisi è distante da noi, è facile coglierne le sfumature e analizzarlo con la debita freddezza. Il problema è quando il soggetto dell'analisi è qualcosa di intimo: sia questa una vecchia cicatrice che fatica a rimarginarsi, un proprio difetto, una persona, etc. In questi casi, la logica può urlare fino allo sfinimento, ma ci sono altri fattori che ne coprono la voce, relegandola nel profondo, lottando tra loro una battaglia titanica. L'autoconservazione, la brama, la morale, e tutti gli altri si attaccano a vicenda, impedendo di trovare la giusta soluzione, attraverso il debito distacco, come in una tribuna di scimmie urlatrici che pretende la ragione e non vogliono retrocedere di un passo (più o meno, quel che accade in parlamento). Tutto questo è solo tanto piombo che appesantisce lo spirito e intossica il corpo.
A questo punto c'è una sola cosa da fare, per chiudere la questione: scendere agli inferi.
Il mondo, anticamente, era rappresentato come un insieme di sfere concentriche, con al centro l'inferno. Gli inferi in cui scesero i grandi uomini, alla ricerca della verità. Ulisse cercava le ragioni del suo peregrinare, Dante cercava la diritta via, Orfeo cercava il suo amore; giusto per citarne qualcuno. La fisica relativistica moderna ci insegna che ognuno di noi è il centro di un universo locale, quindi, quegli inferi sono dentro di noi, in quel profondo da cui scappiamo, perché temiamo quel che possiamo trovare.
Superando la paura di vedere lo specchio, si scende giù, affrontando i propri demoni, per setacciare quel piombo e trarne il meglio, scartando quel che non serve. Una volta scelto il meglio, bisogna portare a compimento il sogno degli alchimisti e trarne oro.
Sogni infranti, amori persi, brutte esperienze, errori e via discorrendo, sono questo piombo di qualità che può, anzi deve diventare oro. Lasciato lì, si moltiplicherebbe senza sosta, come un cancro, ma se lo si va a lavorare: si blocca la proliferazione e, tramite tanta fatica, se ne trae quei pochi grammi d'oro che hanno il valore di una vita spesa bene, alla continua ricerca.
Platone, attraverso la figura di Socrate, scrisse "una vita senza ricerche, non è degna di essere vissuta".
Ogni nostra azione, anche la più insignificante, è un dono che si fa agli altri. Facciamo che sia un bel dono.
Marco Drvso
2 commenti:
..e l'istinto...vorrei tanto che il mio si sbagliasse qualche volta ma è infallibile...
Posso capirti... la cosa più divertente è quando pensiamo che abbia sbagliato, per poi lagnarsi di non avergli dato retta.
Il limite dell'istinto è che di rado riesce a calcolare possibilità diverse: forzature che danno spesso ottimi risultati. Se avessimo dato retta a lui, oggi non avremmo il fuoco...
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