Per chi non avesse letto il capolavoro di H. Melville (quindi, non sa di aver perso l'occasione di cimentarsi con un capolavoro assoluto della letteratura: uno dei miei testi preferiti), spenderò qualche parola per descrivere il capitano. Malgrado il parlare comune, certe citazioni e il cinema abbiano dato una visione di lui che oscilla tra il folle e il sadico, Melville lo descrive come un bravo padre di famiglia, un vero quacchero (per l'epoca era un bel complimento) che svolgeva il suo (deprecabile, secondo me) mestiere con dedizione, per il benessere della sua famiglia. Tutto sommato, potremmo definirlo un brav'uomo di fine '800. Un brav'uomo che ebbe la sfortuna di perdere la gamba e la testa, a causa di una balena che, semplicemente, aveva attaccato una nave baleniera (come darle torto?). Quel giorno, lui cambiò e lo scopo della sua vita divenne: catturare la balena bianca, rea di averlo mutilato.
Il capitano Achab è diventato, così, l'emblema della follia cui conduce la vendetta.
Lui cerca la vendetta verso "il mostro" che lo ha mutilato, senza considerare che tale creatura lo aveva attaccato e reso storpio, perché lui aveva cercato di ucciderla. Direi che sia un dettagli non trascurabile.
Preso da quella che l'autore definiva monomania (e mai termine fu più azzeccato), Achab conduce il proprio equipaggio in una caccia selvaggia, il cui finale è noto, perché non riesce più a distinguere i fatti con la necessaria freddezza. Non vede l'insensatezza dei suoi gesti e non capisce che sta gettando la sua vita, per inseguire un folle desiderio.
Dopo aver letto il romanzo, mi sono domandato come sarebbe andata se "avesse vinto" Achab. La sola immagine che sono riuscito a ipotizzare: è quella di un povero alcolizzato che ha perso l'unico scopo della sua vita. Anche in questo caso si ha la distruzione del capitano e della sua famiglia...
La vendetta non è e non sarai mai un atto creativo. È una forza distruttiva che colpisce l'oggetto della sua mania e l'esecutore, perché richiede tempo e dedizione per essere operata: è un lavoro a tempo pieno. Una volta consumata da pochi istanti di gioia, poi il deserto. Nulla sopravvive, perché il tempo speso per questo atto distruttivo ha portato via tempo per gli atti creativi e una volta portato a termine, non da frutti, se non quel momento di appagamento. Se avesse piantato un frutteto, avrebbe avuto della frutta fresca da mangiare e ombra sotto cui riposarsi da vecchio, invece ha inseguito la balena e, nel migliore dei casi, avrebbe avuto una nave piena di spermaceti e pochi istanti di gloria (ovvero: il solito risultato del suo mestiere, ma senza la frutta fresca); nel peggiore dei casi, sappiamo come va a finire... In parole povere, grazie alla sua monomania, Achab poteva essere ricordato solo in due modi: uno stronzo o uno stronzo morto.
Ecco perché pongo la vendetta al numero uno delle minchiate umane, a fianco dell'autolesionismo inconscio di cui la nostra civiltà è l'emblema e di cui ho già discusso in altri post. Un osservatore attento potrebbe obiettare che il primo è un sotto insieme del secondo ed avrebbe ragione; io li distinguo perché la vendetta ha un campo d'azione vasto, nella storia, e non è un fenomeno inconscio: è proprio lucida stronzaggine.
Conosco gente che per presunti torti subiti, si mette all'opera per preparare la vendetta e servirla quando sarà fredda e indigesta, in accordo con il detto (tante volte ho sentito dire che è "un piatto che si gusta freddo", ma è una storpiatura del detto e non ha senso: deve essere indigesta per chi la riceve, quindi, si serve fredda). Sovente, queste persone macchinano la vendetta a un torto subito, senza considerare che sono state loro a creare le condizioni per il torto, come nel caso del capitano. Li vedo, chiusi nel loro rancore che alimenta altro rancore, in attesa di colpire. Rancore che li imbruttisce nel viso e nell'animo, che cresce fino a soffocarli, andando oltre il casus belli, seguendo uno schema che solo una mente folle potrebbe partorire. A tal proposito, per una divertente trattazione, consiglio "Il metodo antistronze" di Samuelson.
Vedo queste persone che si incasinano l'esistenza e il karma e non le capisco. Sarà che sono strano e i soli torti che tendo a non perdonare sono quelli che ho commesso, mentre quelli subiti tendo a comprenderli e perdonarli o dimenticarli: ma proprio non riesco ad entrare nell'ottica folle del vendicatore. Un paio di volte mi sono cimentato nella vendetta, ma dopo dieci minuti mi sono sentito un pirla ed ho lasciato perdere: troppo sbattimento per un risultato prettamente morale. Io sono un sostenitore di azione e reazione, possibilmente immediate o in un tempo ragionevole: non ho da sprecare una vita, per meditare vendetta. L'unica cosa che mi limito a fare, qualora abbia a che fare con un vendicativo ed ho il dubbio che voglia colpirmi, è preparare una contromossa: un jolly che metto in tasca e che spero che resti lì. Come dicevano i latini "si vis pacem: para bellum". Organizzo l'eventuale contromossa, non una contro vendetta ma un modo per limitare i danni o bloccare la vendetta sul nascere, e continuo la mia vita, senza curarmi dei torti altrui o altre amenità.
Ogni persona conosce i propri polli e può intuire se diventerà una balena bianca. Di solito, come nel caso più noto, il vendicativo si incazza per una questione che lui stesso ha cagionato, alla quale è seguita una reazione, per la quale spenderà tempo e risorse alla ricerca di una vendetta. Se il vendicativo è particolarmente psicolabile, il risultato può essere devastante ed è meglio correre ai ripari, in caso contrario, la sua vendetta sarà qualcosa di talmente imbecille che non meriterà attenzione.
Cosa posso dire ancora? Solo un consiglio: non ficcatevi in certi circoli viziosi che incasinano il karma e avvelenano la vita. Se vi ci ficcano altri, come di solito succede: imparate a schivare il colpo e fingetevi ferito; a quel punto, Achab si cercherà una nuova balena e voi vivrete tranquilli, con la coscienza a posto e, si spera, propensi ad atti creativi.
Marco Drvso
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