venerdì 9 ottobre 2020

Io non sono Druso

Questo è un racconto che credevo appartenere solo a me, ma ho scoperto essere una storia comune.

Esisteva un tempo un bambino troppo sensibile, per il mondo che lo circondava, nato in una famiglia decisamente disfunzionale, in un contesto quantomeno bizzarro. Lui amava sorridere, cercare sempre la posa perfetta per le foto, volere bene alle persone e interrogarsi sul mondo. Troppo "normale" non era, considerando che: i suoi ricordi più vecchi sono lui che sfoglia un libro sulla gestazione (gli era già chiaro tutto, tranne il primissimo passaggio), che interroga gente più grande sull'origine del mondo, rifiutando la storiella creazionista e costruisce mondi fantastici col lego e gli altri giocattoli. 
Purtroppo per quel bambino, era tanto timido, al limite della introversione totale e tanto, tanto solo. Non riusciva a capire la gente intorno a lui, soprattutto i troppi adulti da cui era circondato, che spesso lo caricavano di questioni troppo grandi, quando non era lasciato davanti alla tv. Coi suoi coetanei, al di fuori della scuola o degli amici della villeggiatura, quasi non aveva rapporti. I suoi amici erano i suoi giocattoli, gli unici a non continuare a ripetere: lascia perdere, non ce la fai.
Non aveva troppe pretese, sognava solo qualcuno che gli desse affetto, senza giudicarlo. È una richiesta troppo grande, per un bambino di 7 anni?
Non so quando iniziò tutto, ma so quando si videro i primi segni della sua abdicazione. Aveva 11 - 12 anni, quando qualcosa si ruppe. Quelli sono anni difficili, per tutti, ma per lui fu un vero inferno e senza che se ne rendesse conto, si trovò chiuso in una corazza, era nato Druso.
Apparentemente era sempre lui, ma nel pensare e nell'agire era diverso. La precisione aveva lasciato il posto ad un ridicolo pressappochismo, la voglia di brillare si era tinta di grigio spento, il sorriso aveva lasciato il posto ad una espressione piatta, al massimo a un mezzo sorriso col lato destro della bocca, controllato, come ogni passo che faceva. Una pavida imitazione di quel che era, troppo preoccupato di evitare problemi, anziché vivere: un fallimento totale. Se non altro, era simpatico.
Quella corazza lo schiacciava, ma lui non se ne rendeva conto, era certo di essere Druso, rimbalzando da un casino all'altro, da una fuga all'altra, pensando fosse vita, ma furono solo 30 anni di prigionia. 
La paura di essere felice è una prigione tremenda.
Druso è il nome della depressione e del fingere di essere sani, mentre dentro di te urli, strepiti e piangi, ma nessuno può sentirti, allora ti lasci andare, come se fossi morto, salvo qualche momento in cui riprovi a urlare, ma le mura di quella gabbia sono ormai troppo spesse e il fiato è sempre meno e sei chiuso nel mausoleo di te stesso; che l'armatura protegge, a tempo pieno, boicottando in tutti i modi chi vi è sepolto dentro. Un bambino che piange da solo, tappandosi le orecchie.
Solo qualche volta riusciva ad emergere: brevi, luminosi istanti di vita, di cui serbare gelosamente il ricordo, ma subito la corazza lo avvolgeva come rose rampicanti senza fiori.
Un giorno, non particolarmente importante, è successo qualcosa: si è formata una crepa in quella tetra prigione e un singolo raggio di Sole è entrato, ma c'è voluto tempo, prima che avesse il coraggio di sbirciare fuori.
Dapprima occhiate sfuggenti, timorose, fino al momento in cui si è specchiato negli occhi delle persone più care, quegli amici che non era riuscito a far scappare e quel che ha visto non era un mostro. 
Così, come il conte di Montecristo, ha iniziato a scavare, ma al contrario suo aveva solo le unghie, ma non importava. Mentre scavava, raccoglieva tutto il suo essere e come l'alchimista poneva ogni cosa nel suo crogiuolo, per la fase oscura.
C'è voluto tanto tempo, fatica, batoste e soddisfazioni, ma quanto è caldo il Sole sulla pelle nuda e che bello vedere il mondo con i propri veri occhi, muovendo i primi passi sopra la corazza in pezzi.
Qualcosa è rimasto inevitabilmente attaccato, ma con tutta la forza a disposizione lotto perché si stacchi e nulla si riattacchi più. Il bambino non c'è più, neanche la maschera.
Ciao Mondo.
Io sono Marco. 
Sono felice di aver condiviso queste lacrime con te e poterti, finalmente, incontrare.
Questo è il mio cuore, la sola cosa realmente mia e la voglio condividere con te, chiunque tu sia. Lo faccio per quel bambino che non era riuscito, per quella maschera che sperava di proteggerlo e per me, che lo voglio sentir bruciare come una stella danzate. Lo condivido, senza voler nulla in cambio, perché è così che voglio e non aver paura di toccarlo, non si può rompere. Lo si può solo riempire e far ardere ancora più forte, sia che lo si colmi d'affetto o lo si colpisca, ormai brucia.
Magari può sembrare timoroso, ma non è paura verso l'esterno o la vita: è solo frastornato per quel che sta vivendo e si era negato per troppo tempo. Magari potrà sembrarti bizzarro, perché siamo nati da pochi giorni: tutto è stupendamente nuovo.
Dei due che mi hanno preceduto è rimasto qualcosa, soprattutto i nomi. Sono come medaglie che mi sono appuntato al petto, perché mi ricordano di aver vinto la battaglia e quanto sia stato facile cadere in quel tremendo baratro, duro uscirne e meraviglioso essere qui. Insieme sono il mio "nom de plume", perché scrivere era la sola cosa che li accomunava.
Questo cuore serba le emozioni e i sentimenti di una vita, belli e brutti e tutti insieme sono la fiamma che lo fa brillare, che mi fa vivere e voglio condividerlo.
Ora vado a fare ginnastica, ho scoperto che avere un corpo è meraviglioso; poi mi vedrò con amici: parlerò, riderò, magari mi arrabbierò (chi lo sa?), ma sarà comunque stupendo e andrò a dormire, in attesa del nuovo giorno.
Ciò che è stato non può essere cambiato, ma sono felice che sia stato, altrimenti ora non sarei qui. Non so chi camminerà con me, né quanto sarà folle il mio volo, né dure le cadute, ma le voglio vivere tutte, senza risparmiare fiato. 
Grazie a tutti. 
Vi amo e vi dono il mio cuore e anche per questo non intendo rileggere il post, perché così è nato e così resterà. Questo non è un messaggio in bottiglia gettato nel mare della rete: è un fuoco d'artificio!
 
Marco Drvso

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