giovedì 10 febbraio 2022

Sogno di una notte di mezzo inverno, ovvero: di farfalle e cavernicoli

Il mio più grande limite è sempre stato avere buone idee e perdermi nella realizzazione, soprattutto nella scrittura. Per poco non è successo anche questa volta.
Questa notte ho fatto un sogno e sento il bisogno di raccontarlo, da quando mi sono svegliato. Una forza incontrollabile cui ho dovuto cedere e ora che sistemo gli strafalcioni, sono contento di averlo fatto.
Come Zhuangzi che sognò di essere una farfalla, io ero un antropologo, ignaro della mia vita reale, che teneva una conferenza sulle culture ancestarli e la nascita dei miti, in particolare di Gea e Urano.
Piccolo inciso: dopo 2 anni a divorare conferenze e testi di filosofia e psicologia, era naturale che mi avvicinassi all'antropologia. È certo che nel sogno vi fossero le eco delle conferenze ascoltate nel pomeriggio.
Ricordo con quanta enfasi raccontavo di quei primi umani, che si affrancavano dal mondo degli istinti, nascendo in quello della ragione e delle pulsioni, il tutto con affetto e un briciolo di invidia. Quelle persone prive di un passato ebbero l'onore di essere gli iniziatori di tutto. I successori, noi compresi, possiamo solo apportare variazioni al tema.
Nella conferenza descrivevo questa persona, l'uomo originale, l'aborigeno, quasi come una persona cara, ponendo sempre l'accento sul fatto che fosse il primo e durante la trattazione mi trovai al suo fianco, senza motivo né timore, quasi fosse normale.
Ero seduto in terra con questo uomo minuto, peloso, pieno di barba e capelli (beato lui), che guardava il cielo e carezzava la terra, di quel piccolo angolo di mondo tutto suo: un Petit prince delle caverne. Ancora provo la sensazione di pace che mi trasmetteva.
Lui non aveva un passato ingombrante legato alle sue caviglie ed era privo di qualsivoglia nozione, quindi spettava a lui darsi domande e risposte, proprio come avevo descritto nella conferenza. Era solo, privo di punti di riferimento, tranne il cielo da cui cade la pioggia e giunge la luce e la terra, da cui dopo la pioggia spuntano le piante che crescono col Sole. Non è un caso, se tutto inizia con Gea e Urano o citando Genesi "Bereshit bara Elohim et hashamayim ve'et ha'arets" (in principio dio creò il cielo e la terra - spero di averlo scritto correttamente) e via per moltissime altre culture antiche.
Osservare quella persona che scrutava il cielo come un bambino curioso, mi riempiva il cuore di pace e quel cielo luminosissimo, fatto di stelle di diamanti e aurore che cangiavano dal blu inteso al verde più brillante che abbia mai visto, era una visione che nutriva l'anima. Mi piacerebbe avere la capacità di descrivere quella cascata di stelle e come disegnava figure luminose in quel cielo notturno, ma devo fare i conti con i miei limiti lessicali e l'immagine che si affievolisce sempre di più. Una bellezza che faceva tremare le gambe e toglieva il fiato, ma nel contempo nutriva l'anima. Mi atterriva e eccitava, in una overdose di sensazioni assonanti e dissonanti, che si mescolavano donandomi un vissuto sconosciuto e meravigliosamente indescrivibile.
Riesco ancora a sentire la terra secca che si sgretolava sotto le mie mani, il vento fresco sulla faccia e la volta celeste che si svelava ai miei occhi ed io che non ero più l'antropologo: ero l'aborigeno. Un istante prima cercavo di spiegare i meccanismi creativi di un uomo senza passato storico, sfruttando le mie conoscenze storiche e un istante dopo quel mondo era svanito ed ero solo e nudo davanti al mondo ed iniziavo a dare un nome alle cose, cercando di spiegarle. Ero il vasaio che scopre la creata, inventa il vaso e ne inventa il nome e l'uso. Un essere all'intersezione tra un bambino che apre gli occhi per la prima volta, la scimmia di Kubrick e un saggio risvegliato, con l'animo in pace, colmo di vita e tutt'uno con l'universo. Una sensazione di pienezza che ho provato 2, forse 3 volte nella vita, che somiglia tanto alla buddità, come viene descritta a parole.
In quel momento mi sono svegliato e sono rimasto immobile per una ventina di minuti a gustare quella sensazione.
Nonostante in questo periodo ne abbia ben donde di scagliare divini improperi, come fossero grandine, ero così colmo delle sensazioni di quel sogno da aver iniziato bene la mattina e aver passato il resto della giornata a cercare a chi raccontare quel sogno. Purtroppo non è facile condividere un sogno.
Aveva ragione Heidegger quando sosteneva che ci si perde nella vacuità del discorso superficiale, perdendo l'autenticità del vivere, quindi ho scelto di scriverlo e gettarlo nel mare della rete, come un mesaggio in bottiglia. Sono certo che arriverà da qualche parte: al di là dei miei 15 lettori (non ho la presunzione di averne 25), qui capita qualche volta un pellegrino: magari potrebbe essere scritto per questa persona ignota.
Volendo razionalizzare, posso dare una chiara interpretazione di questo sogno, senza troppa fatica (la mia analista saprebbe già dove sto andando a parare), ma scelgo deliberatamente l'irrazionalità e come Zhuangzi mi domando: era Marco che sognava di essere l'uomo degli albori, è l'aborigeno che ora sogna di essere l'umano del futuro o è l'antropologo che sta sognando? Qualunque sia la risposta, comprendo che il mondo lo creiamo realmente noi stessi e se tutto va in polvere, possiamo crearne uno nuovo.
Questo è il mio primo post dalle coste atlantiche e spero non sia l'ultimo.

Marco Drvso

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