lunedì 1 agosto 2022

Il piacere dell'insensatezza

 -Scrivere un pezzo con il telefono è la cosa più scomoda e frustrante di questo mondo. Sono le 3 e non intendo ricontrollare gli orrori del correttore automatico-

Se dovessi definire quella che per me è la prima delle follie umane, direi: dare un senso alle cose.
"Shit happens"recitava un vecchio adagio, che in questi giorni mi sta facendo riflettere. Gautama (su cui invito sempre a non fermarsi alla Prima nobile verità) e altri grandi pensatori hanno espresso il medesimo pensiero in forme più elevate, ma il senso non cambia: le cose capitano e non hanno un motivo.
Possiamo arrovellarci il Gulliver alla ricerca della catena di eventi che hanno condotto a quella specifica situazione, dando una spiegazione del come e di un perchè "meccanico", senza mai giungere a quel significato trascendentale, che l'umanità insegue da sempre e mai troverà, perché non esiste. Possiamo spiegare il funzionamento delle stelle, le relative meccaniche nel contesto della evoluzione universale, ma non il perché della loro esistenza, per il semplice fatto che non esiste, come per l'universo e tutto quel che contiene, noi compresi.
Siamo creature complessissime e banali, il cui superpotere è complicare il breve e prezioso tempo che ci è stato imposto (o donato, secondo una interessante obiezione che mi è stata fatta oggi, su cui pur non concordando non riesco ad archiviare, perché mi offre spunti di riflessione), sprecandolo in speculazioni prive di un reale valore, una volta osservate dal corretto punto di vista, ammesso che ve ne sia uno. Moltissimi, praticamente tutti, vivono a modo loro questa ricerca, inchiodati ad un passato ingombrante e ad un futuro ignoto e angosciante, sperando di dare un senso al proprio essere, trascurando il presente. Sono persuaso, anzi assolutamente certo, che se comprendessimo e accettassimo la nostra mortalità, assoluta imperfezione e mancanza di senso, vivremmo nel migliore dei mondi possibili, anziché in questa giostra di psicotici. 
Siamo gettati al mondo, senza una reale ragione e viviamo momenti, magnifici e tremendi, lungo un cammino che avrà una fine inesorabile e ciò va accettato, cercando di vivere degnamente ogni istante, per quanto possa essere noioso, triste, angosciante, felice, radioso, stupendo... facendo in modo che sia un gran momento e che il prima e il dopo non lo rovinino. Cosa importa se quella gioia dura il tempo di un battito di ciglia, se non si è sprecato tempo a pensare che finirà e la si è vissuta a pieno? Resterà un ricordo in ogni caso, ma sarà bello e non il rimpianto di una occasione sprecata. Cosa importa se quella sofferenza ci colpisce, se si è consci che in un modo o nell'altro è destinata a finire? Può restarne un insegnamento o nulla, ma non sarà eterna. L'importante è che tutto sia vissuto genuinamente.
Da poco tempo ho compreso il piacere del momento e il suo strambo e inaspettato divenire. Una settimana fa avrei voluto strozzare il mio coinquilino e oggi, al ritorno, ho speso un'ora per descrivergli le opportunità che la vita offre e come sfruttare il suo titolo di studio, per crearsi un cantuccio lavorativo che sia appagante e redditizio. Ora mi sta anche simpatico, nonostante lo abbia voluto strozzare ogni giorno, per 2 settimane. Quello era il passato, questo il presente.
Come Sisifo, facciamo rotolare la nostra pietra, senza che la cosa abbia una spiegazione, un senso. Sta a noi decidere se la nostra vita sia solo l'angosciante binomio pietra-pendio o sia fatta della fragile farfalla che ci vola vicino, del profumo dei fiori circostanti, della piacevole compagnia degli altri rotolatori di pietre (alcuni dei quali, assolutamente folli, lottano con altri per avere la pietra più grossa, senza vedere il resto; gli psicotici di cui sopra).
Col senno di poi, anche le sfighe più grandi, tipo quando andò a fuoco casa quando avevo 6 anni, hanno un sapore diverso, perché non hanno senso, come i momenti più belli, ma hanno reso più interessante il cammino e dato grandi insegnamenti e se oggi mi diverto a fare quel che faccio, senza portarmi dietro pesi inutili, angosce improbabili, etc, lo devo alle mie tante Stalingrado, da cui in qualche modo sono uscito vivo.
Domandiamoci come funziona un fiore, ma non sprechiamo tempo a dargli un senso, perdendo l'esperienza della sua bellezza e del suo aroma effimeri: viviamoli.
 
Marco Drvso

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