sabato 22 aprile 2023

Seconda stella a destra

 Non ho mai amato Peter Pan, però adoro la canzone di Bennato.
 
Mi ha sempre affascinato quel luogo descritto nella canzone, dove non ci son ladri e non c'è mai la guerra. Una canzone che da piccolo avrò sentito centinaia di volte, in cui si scontravano speranza e ragione, in una discussione riguardo un luogo che non può esistere, forse.
Certamente non può esistere un luogo popolato da sirene procaci, indiani stereotipati, pirati del XVIII secolo, fate e bambini volanti, però non è detto che non possa esistere una utopia, dove le persone vivano felici, in armonia, senza santi né eroi.
La ragione ci porta a valutare la natura umana, fatta di sopraffazione, individualismo, violenza, indicandoci l'impossibilità dell'esistenza di tale luogo e ci obbliga a quel senso di realtà che toglie luce al mondo, però a lato di cotanto orrore c'è della bellezza e la vera ragione la sa cogliere. L'umanità non è quella massa oscena che propongono i media, esistono persone meravigliose e altre che potrebbero esserlo, nel giusto contesto. La stessa ragione alimenta la speranza di un domani alternativo, in cui la cifra umana può essere diversa e non necessariamente la petalosa collettività Borg in cui stiamo cadendo (è terrificante constatare che chi si ispira alla rivolta culturale degli anni '60 e '70, somigli nei modi e nella forma mentis a chi aderiva ai regimi del XX secolo).
La canzone descrive il luogo di un sogno, dove si giunge attraverso un cammino che inizia di sera e finisce al mattino, per poi trovare la strada. Si attraversa quello spazio in cui cadono le gabbie mentali, dove l'io è libero e può trovare l'essenziale necessario e al risveglio si può decidere se cogliere quel frutto e seguire la strada o ripiombare nella gabbia quotidiana. Questo è uno dei motivi per chi ho scelto di non voler lavorare di notte. La notte è quando scrivo, disegno, modello, sogno: sprecarla lavorando, per poi gettare via la mattina, sprecando anche le ore di luce, è un crimine. Il soldo, per cui si fa la guerra, non vale le poche ore di piena libertà.
Io non so se esista qualcosa al di là del mondo sensibile, quindi mi chiedo perché debba sprecare il mio transito terreno dietro a questioni futili, che creano solo altra futilità, che ad ogni passaggio diviene sempre più distruttiva e oscena. L'esistenza stessa di una gerarchia mondiale è una follia, che tutti accettano come se fosse naturale, senza notare che sebbene piccole forme gerarchiche esistano in natura, queste servano essenzialmente per garantire la sopravvivenza del gruppo, non per cannibalizzarlo. L'idea stessa che tutto sia in mano a pochi, che per mantenere il proprio status hanno necessità che esistano moltitudini di diseredati che soffrono la fame, di disgraziati che svendono il proprio tempo in lavori usuranti, guerra, etc, dovrebbe farci sollevare, ma ciò non accade, perché alcuni la accettano come un dato di fatto, mentre altri sanno che al crollo di un sistema ne sorge subito un altro, che potrebbe essere peggiore, consci del fatto che la nostra sia una specie sociale e in quanto tale è fatta di gregari, conduttori e qualche disadattato che si barcamena, chiedendosi se la nevrosi, in questo mondo, non sia un segno di sanità mentale. Come insegna una vecchia battuta, ripresa anche nella Guida Galattica: la scritta manicomio è all'esterno...
Quando penso che avremmo le tecnologie per garantire a tutti il pane, un tetto e il tempo libero (e tanti contraccettivi, da dare in certe aree del Pianeta), mi rendo conto che siamo davvero in un manicomio, ma appurato che siamo pazzi: perché non possiamo credere che possa esistere un mondo migliore?
Non parlo di un altrove, dove giungere al trapasso. Non credo che esista un Dio, come quello descritto dalle religioni, che crea il mondo per salvarci o punirci, né un altrove meraviglioso. Sono fermamente convinto dell'unità del cosmo e del fatto che ancora abbiamo capito poco o nulla e che nel nostro essere una sola cosa, magari esiste una trascendenza, una fonte a cui tornare (adoro il mito di Er e le visioni orfiche ed ermetiche, tanto simili a quelle orientali), ma è solo una idea che non posso confermare o smentire, quindi l'altrove va a farsi benedire. Il mondo migliore deve essere qui, su questo sasso azzurro che ruota intorno al Sole e noi lo possiamo creare.
Questo ho sempre amato della canzone: un sognatore contro un concreto, che si parlano, ma il secondo è pregno di certezze, che ne chiudono la mente in una gabbia, impedendogli di vedere le infinite possibilità, i percorsi alternativi. Il sognatore, invece, cerca nuovi cammini, qualcosa di diverso, ma non è un cieco utopista, sa in che mondo vive, infatti riconosce che l'isola non c'è, concorda col suo interlocutore e lo ribadisce, però lui continua a cercarla, perché ha capito che se la può sognare, la può creare, cercando gente come lui.
In un mondo di tragedie, se ne sottovaluta sempre una: i sognatori tendono a stare da soli e non riescono a fare massa. Osservano le persone normali e non le capiscono, chiedendosi se dentro di sé ci sia qualcosa di rotto o malfunzionante, come unica soluzione possibile e provano ad adattarsi, recitando una parte fastidiosa. Dovremmo essere i primi a scegliere la nostra "seconda stella a destra [...] e poi dritto fino al mattino" per poi trovare la strada da sé, perché quella segnata dai vari gruppi dei normali (per la mia definizione di "normali" rimando allo scritto precedente e altri) è veramente una merda, di quella inadatta anche a concimare. Meglio smarrirsi nella selva oscura, consci che la diritta via non esista, che seguire ancora una strada che è sempre stata sbagliata e sempre stata la stessa, nonostante i pifferai fossero diversi e ognuno suonasse una musica diversa. Alzare gli occhi al cielo e scegliere la propria stella.

Marco Drvso

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