Ultimamente sono sempre in movimento, un po' per lavoro, un po' per la scuola, un po' per divertimento. Questo mio muovermi mi permette di entrare in contatto con svariate persone, anche senza avere un rapporto diretto. Sui mezzi, ad esempio, è un contatto indiretto, attraverso il quale si possono scoprire tante cose.
Premetto che sui mezzi sono sempre chiuso in un libro o guardo fuori, non ho piacere a "scambiare energia" con il prossimo, anche a causa del mio carattere chiuso. Non mi perdo nel cercare un contatto; non lo facevo da piccolo, quando incontravo qualche bella tusa, figurarsi se lo faccio adesso che non ho nemmeno bisogno di marpionare (uno dei pregi della terza decade).
Pur mantenendo le distanze, mi capita di captare i discorsi della gente. Sovente sono conversazioni in lingue che fatico a comprendere. Perdo il significato delle parole, ma posso comprendere il senso del discorso. C'è lo spagnolo allegro dei sud americani, che ha note di gioia anche nei discorsi più tristi. L'inglese e il francese modificato che parlano gli africani, ricchi di espressioni nate nel contesto del loro paese e sempre carichi di una naturale propensione alla vita. Le mille varianti dell'arabo con cui parlano i nord africani e i mediorientali. Le lingue dell'est Europa, distinguibili dall'accento ed i suoni dell'Asia, così particolari. Una delle poche che si fatica a sentire è l'italiano, esclusi i teatrini dei soliti terronazzi di periferia, che spesso mi risultano più incomprensibili di tante lingue che non parlo. Su questi ultimi, temo di essere affetto da una leggera forma di razzismo, che mi porta a guardare male i miei connazionali provenienti da due regioni in particolare (malgrado sia mezzo napoletano ed abbia un cognome d'origine sicula, non provo particolare simpatia per certi prodotti di importazione).
Ascolto lingue diverse e capisco cosa mi spinge ad interessarmene. Non mi riferisco solo al corso di giapponese, ma alla curiosità che ho sempre avuto nei confronti degli alfabeti e delle lingue in genere. Scoprendo la lingua parlata da un popolo se ne può comprendere le ragioni, in un certo senso: se ne ruba l'anima.
In molti miei atteggiamenti e idee si possono scoprire influenze estere, maturate tramite il confronto con quelle culture. Dagli anime giapponesi nell'infanzia, allo studio scolastico di inglese e francese, fino ai fallimentari tentativi di comprendere l'ebraico e l'arabo (ogni tanto ci provo ancora), il denominatore comune è stata la volontà di capire.
Imparo una lingua per affrontare la cultura di un paese e rubare quanto mi potrà essere utile. Credo che tutti dovrebbero avvicinarsi al prossimo e capirlo, prima di discriminarlo.
Odiare ciò che non si conosce è tremendamente facile e sterile. Sforzarsi a capire il mondo arricchisce, malgrado la fatica. Porto un esempio: è facile "avercela con i terroni". Ho conosciuto tanti meridionali, frutto del loro territorio, ed erano persone meravigliose, ricche di cultura e squisitamente interessanti. Purtroppo, quello che balza agli occhi sono i terronazzi che rovinano la categoria. Questo succede al popolo di mangiaspaghetti, mafiosi, berlusconiani, di cui il mondo ha scarsa stima...
Bisognerebbe conscersi meglio e parlare di più, rubandoci il meglio, per crescere.
Drvso
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