Talvolta mi domando, vedendo in che modo è stato ridotto questo paese, cosa sarebbe successo se anziché quegli incapaci dei savoia (volutamente minuscolo) avessero unificato l'Italia degli altri condottieri. Mi riferisco a personaggi dotati di acume, forza, attributi e capacità come Francesco Sforza, Ludovico il Moro, Lorenzo il Magnifico o Giovanni delle Bande Nere; quest'ultimo imparentato con tutti i precedenti (faceva De' Medici di cognome e mamma era una Sforza). In particolare penso spesso a quello che fu il trio potenzialmente più formidabile della storia, purtroppo crollato per avversa fortuna. Mi riferisco a tre persone: un condottiero spietato e privo di alcuna morale, un politico e filosofo senza pari e il più grande tra ingegneri e artisti. Si chiamavano Cesare (detto Valentino), Niccolò e Leonardo.
Cesare Borgia, il Valentino, era il sanguinario figlio di papa Alessandro VI (al secolo Rodrigo Borgia), fratello della più nota Lucrezia. Definirlo spietato e privo di scrupoli è limitante. Si pensi all'eccidio di Senigallia, definito da Machiavelli un capolavoro (invitò a cena i suoi nemici e li avvelenò tutti). Non si fece problemi a usare la sorella come merce di scambio e lo stesso fece con l'abito di cardinale che gli fu messo addosso, prima che iniziasse a conquistare il centro Italia. Machiavelli, ne Il principe, lo cita quale esempio, insieme a Francesco Sforza. Per sua sfortuna, nel momento in cui più gli sarebbe servito l'appoggio paterno, morì il papa e salì al soglio di Pietro uno dei più fieri antagonisti dei Borgia: Giuliano della Rovere, papa GiulioII.
Niccolò Machiavelli è uno dei miei autori preferiti, un autentico genio (del male, secondo alcuni) che ebbe la forza di mettere per iscritto la verità sula politica e trovarne il lato scientifico, per iniziarne uno studio serio e, per certi versi, così freddo e calcolato da risultare inquietante. Porto quale esempio il suo saggio sull'eccidio di Senigallia, intitolato "Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini". Sapeva scernere la morale dalla ragione di stato e il fine dai mezzi. Non a caso gli si attribuisce la famosa frase "il fine giustifica i mezzi", sebbene non se ne abbia traccia scritta.
Sul terzo non mi dilungherò troppo, mi limiterò al nome: Leonardo da Vinci.
Niente associazioni segrete, come nel risorgimento, ma genuini piantagrane rinascimentali, cresciuti in tre delle più importanti capitali d'Europa: Roma, Firenze, Milano. La forza del valentino, l'arguazia di Machiavelli e l'intelligenza di Leonardo, riunite insieme, avrebbero potuto dare grandi risultati, se ne avessero avuto tempo.
Di certo, non saremmo stati esenti da nepotismo e simili porcate, ma mi piace pensare ad uno stato nato dalle battaglie di un grande combattente, consigliato da un formidabile filosofo e letterato, che a sua disposizione avrebbe avuto armi "fantascientifiche" come il carro armato. Un triumvitato di cui due terzi erano filosofia, arte e scienza.
Peccato che la stoira non si faccia con i se.
Marco Drvso
Nessun commento:
Posta un commento