La scorsa estate, proprio in queste ore, stavo volando per il Giappone.
Trascuriamo il comportamento tenuto da qualcuno fin dall'inizio, che mi ha spinto a voler mettere una pietra sopra ogni possibilità anche di amicizia e comportarmi in maniera irritante (solo due volte), gesto che avrei potuto evitare, tanto ormai era tutto un elogio all'incomunicabilità e al fraintendimento: una specie di remake del mito della Torre di Babele. C'è di positivo che quella situazione ha innescato il meccanismo grazie al quale oggi sono felicemente in coppia con una persona magnifica; solo questo conta di tutta la vicenda.
Mi manca il Giappone, soffro l'equivalente del Mal d'Africa. Chi non vi è mai stato non può capire cosa attrae tanto di quel luogo, soprattutto per chi, come me, ha il Sol Levante nella sua base culturale, veicolato da cartoni animati e simili. Mi manca la quiete dei templi, agli antipodi di quella delle chiese. Ripenso ai servizi puntuali e precisi, a livello maniacale. Ma manca tutto di quel paese unico e strano. Malgrado tutto, è stato un viaggio meraviglioso.
A Kyoto ho lasciato il cuore. Una città che a monumenti rivaleggia con Roma, ma al contrario dell'Urbe, questi monumenti sono conservati alla perfezione (c'è da ricordare che tradizionalmente vengono abbattuti e ricostruiti, per questioni culturali in cui non mi addentrerò), in cui aleggia un'aria di antica nobiltà: una vecchia capitale sonnolenta che sogna i tempi d'oro e il proprio imperatore.
Ho amato i panorami unici delle antiche città, la caotica allegria di Osaka, addirittura la caoticità di Tokyo. Mi manca tutto del Giappone e voglio, anzi devo, tornare.
Marco Drvso
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