Di ogni persona esistono più immagini. C'è quella che ci si crea di noi stessi e quelle che gli altri vedono. In entrambi i casi, sono visioni deformate dallo specchio dell'ego e dalle lenti dell'esperienza e del condizionamento esterno, qualcosa di simile al concetto espresso da Platone (tanto si casca sempre qui...) ne La Repubblica, riguardo alla allegoria della caverna. Alle lenti dell'osservatore vanno aggiunte le maschere, volute o subite, dell'osservato.
È inevitabile che si indossino maschere, tutti lo fanno. Maschere legate alla situazione del momento, al periodo vissuto, alla timidezza, all'insicurezza, alla diffidenza e, il più delle volte, sono inconsce o messe in buona fede, per quieto vivere. Naturalmente c'è anche il fattore falsità, da considerare. Volgarmante: anche la persona più vera, cambia atteggiamenti ad un funerale, ad un concerto, ad un appuntamento, al lavoro, etc. Per ultima, c'è la maschera da antipatia.
Se l'osservatore si trova davanti ad una realtà vagamente camuffata, da parte sua c'è un grave difetto visivo. Ho citato gli schiavi di Platone, ma è inevitabile tirare in ballo Pirandello, per descrivere questa realtà. Lo schiavo della caverna è abituato a vedere il mondo in una certa maniera, un mondo distorto dalle azioni altri che lo schiavo percepisce come assolutamente reale e inevitabile, ignorando che quel che vede siano solo ombre sulla roccia, mosse da mani invisibili, per loro. Lo schiavo interpreta in quel modo il mondo e non può credere che esista qualcosa di diverso. A questo aggiungiamo la visione relativistica di Pirandello, che potremmo abbellire con tanti discorsi psicanalitici (che vi risparmio), secondo cui noi osserviamo il mondo attraverso occhi ammaestrati dal nostro vissuto e dalle influenze esterne. Occhi mediante i quali, sovente, vediamo solo quel che vogliamo della realtà, modellando il mondo secondo la nostra immagine mentale. Ricordo un bellissimo saggio in cui descrive una donna anziana, vestita e truccata per sembrare più giovane e le reazioni divertite della gente. Prima descrive quanto sia ridicola e il lettore non può fare a meno di ridere e concordare, poi elenca una serie di motivi per cui la donna è conciata in quel modo, facendo vergognare il lettore delle risate. Pirandello sapeva colpire basso.
Un osservatore viziato, che osserva un mondo falsato, non può dare una descrizione corretta e questo è alla base di ogni incomprensione, seguita dalla tante volte discussa incapacità umana di comunicare.
Porto ad esempio la mia esperienza. Mi è capitato di sentire descrizioni mie, da persone di ambienti diversi e rendermi conto che, salvo per alcune caratteristiche che tutti riconoscono (strambo e un pochino psicopatico), ho sentito di persone diverse. Alcuni parlavano di un tipo introverso, taciturno e un po' scontroso, altri mi dipingevano come euforico e logorroico, altri mi davano dello spocchioso arrogante ed altri raccontavano di una persona prodiga e sensibile. Premesso che mi ritrovavo in tutte le descrizioni, mi sembrava strano che apparissi così diverso, sebbene pensassi di non aver cambiato una virgola del mio comportamento, quindi, analizzai tutte le situazioni e mi resi conto che alcuni fattori ambientali erano determinanti nel mio atteggiamento. In un luogo ero a mio agio, in un altro mi sentivo intimidito, in un altro c'era una persona che non sopportavo, etc, quindi, inconsciamente, mi comportavo di conseguenza. Poi ho analizzato, per quanto possibile, le persone intorno a me e credo di aver capito, per sommi capi (ovviamente c'è sempre da considerare quanto scritto sopra), perché mi interpretassero in certe maniere. Ricordo che la mia psicanalista mi disse che possiedo una personalità con moltissime sfaccettature, per poi specificare che vale per tutti.
Di recente ho scoperto di essere considerato un abile manipolatore (non è onanismo!). Se fosse vero, avrei fatto carriera nel vecchio lavoro ed ora sarei in politica.
Mi è capitato di parlare con alcune persone, di altre persone e il risultato è stato sorprendente. Di persone di cui avevo un'immagine chiara, mi venivano fornite visioni talmente lontane dalla mia, che sorgeva il dubbio che si parlasse di terze persone. Ad esempio, ricordo quando, un paio d'anni fa, ho chattato con un vecchio amico che non sentivo da secoli ed ho scoperto che entrambi eravamo stati invitati ad un evento da una comune conoscente. Senza motivo, lui ha iniziato a tesserne le lodi, descrivendola come un qualcosa di raro e meraviglioso. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che avesse una visione idilliaca di una che reputo, tuttora, una stronza da combattimento.
Senza soffermarsi ad analizzare ogni discorso fatto dalle persone intorno a noi (perché è sbattimento, non è il massimo per vivere serenamente i rapporti sociali e rasenta la paranoia), si può fare un piccolo esperimento leggendo le descrizioni che i diversi media danno di fatti e personaggi. Trascurando esempi di manifesta faziosità e cercando di scegliere voci libere e obiettive, si può riscontrare quanto scritto sopra, cioè che esiste solo un fatto o un personaggio, ma milioni di verità.
A questo punto è chiaro il famoso aforisma "Nemo propheta in patria", perché nel proprio angolo di mondo siamo soggetti alle visioni di chi ci conosce e difficilmente si riesce a far cambiare idea alle persone (le certezze sono i pilastri della vita di tutti e difficilmente si può accettare di avere torto e cambiare modo di pensare), quindi, la fuga dalla caverna diviene una necessità pratica e morale, da raggiungere ad ogni costo. Pratica, perché migliora la vita. Morale, perché migliora il mondo.
Marco Drvso
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