lunedì 9 maggio 2011

Scritto sulla pelle

Poche ore fa, mi stavo godendo un libro di A. Clarke, comodamente adagiato sul mio trono, nella mia personale sala delle letture. Come per ogni buona lettura, il solo posto per essere goduta a pieno è il bagno.
Il sogno della mia vita è riuscire a scrivere un romanzo da bagno.
Leggendo degli antichi che avevano cercato in ogni modo di impedire ai cittadini di Diaspar di compiere ancora il loro errore e di come questi, a loro volta mossi dalla paura di commettere l'errore, compivano ogni azione per impedire ad Alvin di seguire la propria strada, mi sono trovato a riflettere su una breve discussione avuta oggi, riguardo simili questioni. L'esperienza altrui è un buon punto di partenza da cui costruire, secondo il principio di porsi sulle spalle dei giganti. Credo sia cosa giusta e saggia ascoltare chi è venuto prima ed ha sperimentato la vita prima di noi, ma non possiamo permettergli di impedirci di sbagliare. Tante volte mi sono lagnato della scarsa memoria della nostra specie, riguardo agli errori che storicamente si sono ripetuti, sempre uguali, nella loro originalità.
Bisogna trovare un giusto compromesso tra l'esperienza altrui e il proprio cammino, evitando di fare certe puttanate di cui vediamo i danni sugli altri, senza farci influenzare eccessivamente.
Riflettendo su questo, ho poggiato il libro e mi sono chiuso nella zona meditazione: la doccia. Come una epifania, mi è tornato alla mente un dialogo avuto con mio nonno materno (il primo dei miei riferimenti filosofici e morali), tanti anni fa, mentre giocavamo a biliardo.
Si parlava della gioventù e lui mi disse che sarebbe volentieri ripartito da capo, anche partendo dalla mia età (avevo 16 anni). Io, ingenuamente, dissi che sarebbe stata una figata avere un corpo giovane e la sapienza di chi, come lui, ne aveva viste tante.
Mio nonno era nato nella Cosenza degli anni venti, in una famiglia appartenente alla morente, diseredata, aristocrazia di matrice ispano-sveva (era rosso di capelli, con gli occhi grigi e il cognome dal sapore spagnoleggiante) e mentre preparava la maturità classica fu chiamato al fronte (si dovette accontentare, dopo la guerra, di un diploma magistrale). Persona colta, curiosa e vivace, come era e sarebbe sempre stato (a 85 anni mi ringraziò per avergli installato netscape, perché explorer non lo soddisfava), seppe trarre il massimo anche dalla guerra e dai 2 anni in campo di concentramento, da cui scappò in maniera rocambolesca (della sua vita, non volle mai raccontare quel che vide nel campo, limitandosi a dire che la sua fortuna fu essere un prigioniero militare che riusciva a dormire a oltranza, per non vedere al di là della rete, dove erano detenuti altri prigionieri). Partito alla guerra con la testa infarcita di discorsi del duce, tornò ricco di esperienza e nuove conoscenze e divenne un fervente comunista, che mai rinunciò alle sue credenze religiose, né negò, mai, l'ammirazione per Mussolini. Ritornò a piedi dalla Germania, arrivando 2 anni dopo la fine della guerra, quando era stato già dato per morto (la strada era lunga) e si trovò un lavoro (gli dissero che doveva andare a lavorare; ma questo è un aneddoto divertente che serbo per il futuro), venne a Milano, fece famiglia e, insieme alla nonna, tirò su sei figli, lavorando come un pazzo (di quegli anni mi sono state raccontate storie grandiose). Quando andò in pensione, si aprì un negozietto di quadri, perché non sapeva stare fermo.
Con tutto questo vissuto, mi rispose, benevolo, che non avrebbe voluto tornare giovane, ricordando tutto, perché sarebbe stato un vecchio in un corpo giovare. Lui avrebbe voluto rifare la partita da zero, senza sconti, né anticipazioni, altrimenti non avrebbe avuto senso.
Subito non compresi. Pensavo che sapendo tutto, avrebbe evitato gli errori e sarebbe giunto a vette altissime. Avevo una visione troppo limitata, a causa dell'età. Lui lo capì subito, lasciò cadere una frase riguardo la possibilità di sbagliare e proseguimmo il gioco.
Avrei realizzato il senso di quella frase solo dopo molti anni.
Quando guardo quel poco che ho raccolto e costruito, mi rendo conto tra i tanti ricordi, quelli più vivi e cari sono le cicatrici, gli errori. Per assurdo, non sono le vittorie a farci, ma le sconfitte, perché dalle sconfitte ci si rialza e si trova nuova forza per proseguire o modificare il cammino. La vittoria placa i sensi, la sconfitta li acuisce. La vittoria è il traguardo, la sconfitta è il cammino.
Oggi, più che mai, capisco l'importanza di sbagliare e se un domani mi si chiedesse a cosa posso rinunciare: di sicuro non rinuncerei ai miei errori, perché sono scritti sulla mia pelle e sono la parte più vera e cara del mio passato. Sono le lezioni che mi hanno fatto ciò che sono e se ho un rimpianto è non aver sbagliato abbastanza.
Grande uomo nonno Gianni. Mi mancano tanto lui e la nonna.

Marco Drvso

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Davvero un grande uomo...e mi viene da dire con rammarico..d'altri tempi... Gli errori devono esserci fanno di noi ciò che siamo..
Visto le origini Cosentine...in cosentino te lo dico ''su un ci sbatti cu lu mussu u'llu capisci''...
Ossia si impara davvero solo dai ''propri'' errori.. E capisco anche il pensiero di tuo nonno..ma la mente a volte gioca brutti scherzi..io ad esempio mi sento molti più anni di quelli che ho..saranno state le esperienze..e le persone quasi sempre più grandi con cui ho avuto a che fare..non so..
Per quanto riguarda il tuo di cammino credo che tu sia sulla strada giusta..sulle orme di nonno Gianni..

Drvso ha detto...

Magari! lui, per quanto io gli somigli, era di un'altra pasta, anche se credo avesse, come me, la sindrome di Peter Pan.
A lui devo molto, compresa la barba rossa di cui vado tanto fiero e sono stato l'unico con libero acceso alla libreria e quando penso a quei volumi che stanno prendendo polvere, senza la speranza di essere letti, mi vien da piangere.


Non penso di averlo mai sentito parlare in dialetto. Era legato alle vecchie concezioni, secondo cui il dialetto era per i contadini e gli ignoranti (effetti dell'educazione dell'epoca, quando non si capiva che anche quella è cultura e ricchezza) e ricordo che trovava curiosi i miei tentativi di imparare il milanese altri dialetti parlati nel mio variegato parentame (sulle lingue dei lontani antenati ho messo una croce sopra, soprattutto perché dovrei capire se il bis bis era manciù o han; lo spagnolo lo parlicchio, ma il tedesco è troppo ostico, quasi quanto il bresciano).