giovedì 26 luglio 2018

La caverna delle lenti colorate

Ho sempre adorato il mito platonico della caverna.
Nessun racconto, parabola, esempio o dissertazione ha mai spiegato meglio la condizione umana. Prigionieri della caverna, costretti a credere che quelle immagini proiettate siano la realtà è ciò che li circonda sia il solo mondo possibile, pronti ad uccidere chi è sfuggito dalla prigionia e torna per affrancarli. Prima lo deridono, perché non riesce più ad orientarsi nelle tenebre, poi lo ostracizzano, considerandolo un pazzo che farnetica, mentre parla di forme, colori, odori e quant'altro vi sia fuori della caverna e, infine, lo uccidono, perché lo reputano pericoloso.
Ne hanno paura, perché per alcuni è pazzo, per altri un truffatore e per altri ancora sta mostrando qualcosa che non si può e non si deve discutere, perché smantellerebbe il loro mondo, uccidendo le certezze, abbattendo i loro steccati mentali.
In un certo senso, siamo tutti rinchiusi nella caverna, con l'aggravante delle tifoserie e di lenti che deformano la nostra percezione, delle medesime immagini che vediamo. Lenti che si chiamano indottrinamento; religioso, politico o morale, poco cambia nelle dinamiche. Lenti che non solo cambiano i colori del mondo, esaltando alcune cose e mascherandone altre, come abbiamo imparato da bambini guardando attraverso le carte delle caramelle, ma deformano tutto lo scenario, creando mostri ed eroi, dove non ci sono o cambiando l'eroe in mostro.
Se nel caso del fossile di hallucigenia, di cui ho scritto nel post precedente, l'incomprensione era dettata dalla mancanza di dati e tecnologie per comprenderli, come nella famosa storia dei 3 tizi bendati che descrivono un elefante, senza averne mai visto uno, toccandone solo un punto (uno tocca la coda, uno la zampa e il terzo la coda), la diatriba si basa su conoscenze diverse e si può giungere ad una sintesi tramite lo scambio dei dati, in molti altri casi non c'è la volontà di accettare l'informazione e il dialogo muore in uno scontro tra fedi, aggravato dalla tifoseria.
Siamo circondati da piccoli inquisitori, capaci solo di gridare il proprio punto di vista (atteggiamento che sovente dimostra un certo timore nel proprio modo di essere o pensare), insultare chiunque non sia allineato e rifiutare ogni possibile interpretazione che esuli dalla propria, sovente dettata dal santone o ideologo di turno.
Se chi legge adesso è destronzo penserà che mi riferisca ad una zecca, se è sinistronzo penserà che mi riferisca ad un nazofasciolegorazzista. In realtà mi riferisco a queste due e tante altre categorie di stronzi.
-nota: non uso il termine stronzo nell'accezione di persona malvagia e prevaricatrice (con le varianti di quello che ti vuole distruggere fisicamente e quella che ti vuole vivo e infelice: lo yin e yang della stronzaggine cattiva), ma in quella di personaggio dannoso per sé e gli altri, convinto di aver capito tutto, che si pone su un piedistallo da cui può solo cadere rovinosamente. Quello talmente stronzo che alla gara degli stronzi arriverebbe secondo (il primo e l'ultimo degli stronzi hanno una loro dignità, ma per arrivare secondi, in quella competizione, bisogna proprio essere stronzi): il maggiore Stronzo di Balle spaziali-
Nessuno di noi è esente da una certa dose di fanatismo, convinzioni e stronzaggine, ma un conto è partire dal proprio castello di carte, per descrivere e comprendere il mondo, consci che basti poco per farlo crollare, un altro è convincersi che siano solide mura ciclopiche atte a contenere la sola verità.
Sono bastati un paio di decenni, per gettare alle ortiche il concetto di relatività e tante altre conquiste degli ultimi secoli, facendoci ripiombare in un medioevo tecnologico, molto più spaventoso del primo.
Sento gente pronta a dare del fascista a chiunque (con buona pace di Confucio e della rettifica dei nomi) e inneggiare all'abolizione del suffragio universale e chiedere che il mondo sia messo in man alle élite, per salvarci dai non democratici. Ma siamo impazziti?
Se non mi becco del fascista o del comunista (sempre con buona pace di Confucio), in base all'interlocutore, rischio di restarci male...
Un dialogo può essere acceso, duro, combattuto, ma sarebbe il minimo partire dal presupposto che l'altro potrebbe avere ragione e anzichè scagliarsi all'attacco, con un fare che sbalordirebbe Torquemada, potrebbe essere utile domandare una spiegazione. Le piazze reali, virtuali e mediatiche mostrano solo discussioni tra gente che pretende di avere ragione e predilige sminuire insultare, anziché cercare di capire e farsi capire, perché l'ombra sul muro, che vedono attraverso le proprie lenti è la sola verità.
Come mi piace sempre ricordare, la frase "abbiamo ragione noi", in inglese si traduce "we are right", il cui acronimo è WAR, guerra.

Marco Drvso

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