giovedì 1 ottobre 2020

Lacci, recinti e pessime abitudini

A dar retta alle esclamazioni comuni, la sfortuna lavora a tempo pieno e ha ben poca fantasia.
La vulgata descrive talune situazioni in termini di fato ineluttabile, come se ci fosse una forza che opera contro con volontà e premeditazione. I più maledicono la sfortuna, l'universo, qualche entità sovrannaturale e la divinità di riferimento, ma la triste realtà è che quella forza siamo noi stessi.
Ricordo una interessantissima lezione del corso di comunicazione tenuta al museo, una vita fa, in cui una delle persone più geniali che abbia mai conosciuto, ci mise in mano una scatola di legno e altri oggetti, tra cui un termometro e ci disse che si trattava di una macchina per pensare, quindi ci spiegò quanto la nostra mente sia chiusa in steccati che vincolano il pensiero e della necessità di rompere quegli schemi. 
I recinti della nostra mente ci obbligano a vedere una situazione in un solo modo, bloccando violentemente ogni possibilità evolutiva, anche nei rapporti interpersonali, obbligandoci a stare in quella terrificante comfort zone, che impedisce alla vita di esplodere e realizzarsi a pieno. Ne so qualcosa: mi sono trovato spesso a fare i conti con i miei e altrui steccati.
Si continua a ripetere schemi privi di senso, sempre coi medesimi risultati e tutto ciò è folle, oltre che doloroso e controproducente.
Da quei recinti si diramano i lacci, anche questi creati da noi. Nonostante si sia capito che una situazione sia tossica, c'è quel delirante senso di vuoto che si crea quando si cerca di uscirne, che obbliga a tornare indietro, come descritto nel post precedente. Bisogna lottare con tutte le forze per staccarsi, ma è come una dipendenza, la vivi come un tossico che cerca la sua cocaina, perché ne ha bisogno, anche se è chiaro che sia solo dannoso.
La mente umana è veramente una macchina meravigliosa, ahimè, fallata da meccanismi autodistruttivi.
Controllare compulsivamente il telefono, per sapere se ti ha cercato, rompere le palle agli amici e una lunga serie di pessime abitudini che nascono in quel recinto da cui cerchi di fuggire, ma quel laccio rosso ti avvolge e trattiene, come un cavallo preso al lazo.
Come si fa ad uscirne?
Per prima cosa è necessario avere un sano principio di realtà, poi il coraggio di osservare la situazione, anche nelle componenti più dure, infine scegliere una direzione e dimostrarsi di essere abbastanza forti.
Il mondo qui fuori è stupendo. Perché dovremmo negare "di nostri sensi il rimanente"?
Se si riesce a rinunciare alle sigarette, classico esempio di quel dannoso continuare a ripetere, perché non sarebbe possibile liberarsi anche di altro?
Le sfighe accadono, facciamo in modo che non siano sempre lo stesso film già visto.

Marco Drvso

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